Questi giorni

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Un film di Giuseppe Piccioni presentato a Venezia

di Gianfranco Sodomaco

 

Presentato in concorso all’ultimo Festival del Cinema di Venezia Questi giorni, di Giuseppe Piccioni, non ha ottenuto alcun premio e qualche critico ha scritto “perché il film non decolla”: capisco la metafora, ma andiamoci piano, chi conosce il regista, ne parleremo, sa che Piccioni, con i suoi film, non vuol far decollare un bel niente. Il suo cinema è sempre stato un cinema dai toni ‘bassi’, non spettacolare, introspettivo, sempre alla ricerca della complessità dei rapporti umani, qualsiasi sia stata l’ambientazione in cui le sue storie si svolgevano. Sempre uguale a se stesso? Non direi, caso mai fedele a una sua poetica, una sua visione del mondo da cui non ha mai voluto staccarsi. Ecco perché ho deciso, prendendo spunto da Questi giorni, di dedicare questa volta il mio intervento critico a parte dell’opera omnia del regista, considerando anche, ma si sarà capito, che è, tra gli italiani, uno dei miei registi preferiti. Farò dunque anche dei riferimenti a Luce dei miei occhi (2001), La vita che vorrei (2004) e Il rosso e il blu (2012). Ma partiamo da Questi giorni, dalla storia. Tre amiche, Liliana (Maria Roveran), Anna (Caterina Le Caselle), Angela (Laura Adriani), decidono di lasciare la città di provincia in cui vivono e accompagnare la quarta amica, Caterina (Marta Gastini), a Belgrado. Caterina (lesbica) ha trovato, in questa città, un lavoro come cameriera in un ristorante di lusso e, visto il periodo di ‘vacche magre’, ha deciso di accettarlo. Le amiche, senza grandi entusiasmi, vogliono condividere il viaggio con la macchina di Caterina e fare un’esperienza non prevista né prevedibile. Non si aspettano avventure o cose del genere, conoscono dei ragazzi che parlano più o meno l’italiano ma tutto rimane in superficie; ciò che rompe la monotonia del loro ‘menage slavo’ è il riacutizzarsi della malattia di Liliana, costretta al ricovero. Ma chi sa qual è la malattia di Liliana è la mamma parrucchiera (Margherita Buy) che, al telefono, sollecita le ragazze a tornare in patria. Questo viaggio darà la possibilità , quasi casuale, alla parrucchiera di conoscere un insegnante delle ragazze (Filippo Timi) con cui instaurerà, forse, una relazione. Dove sta la bellezza del film? Nel mostrare che spesso l’uscita dalle consuetudini (il viaggio, la malattia di Liliana) rafforza i rapporti umani, in questo caso quelli amicali, sempre che vi sia una disponibilità all’ascolto dell’Altro: nelle quattro ragazze questa disponibilità, al di là delle banali incomprensioni iniziali, c’era e ha trovato l’occasione per manifestarsi. Il linguaggio del film è, come sempre in Piccioni, lineare, senza sbavature, contrassegnato, solo in alcuni momenti particolari, dal commento musicale. Tornando indietro nel tempo, andando a Luce dei miei occhi.

Solo la trama (per ragioni di spazio): tema, la società. Antonio (Luigi Di Cascio) è un autista al servizio di clienti importanti a Roma. Maria (Sandra Ceccarelli) è la proprietaria scontrosa di un negozio di surgelati che non ha una grossa clientela. Maria ha avuto un legame sbagliato che le ha dato una figlia che ama, ma che i nonni paterni vogliono sottrarle. Antonio la incontra casualmente ma lei, in un primo momento, si protegge e respinge la sua amicizia. Antonio, innamorato, insiste finché lei accetta un rapporto non impegnativo. Antonio le resta vicino senza chiedere nulla in cambio; perderà il lavoro e diventerà il galoppino di Saverio (Silvio Orlando), lo strozzino con cui lei è in debito: conoscerà lo sfruttamento degli extracomunitari ma anche il modo di aiutare la donna che ama. Passando a La vita che vorrei, con sempre la coppia Lo Cascio-Ceccarelli. Tema: il cinema. Laura, volitiva e determinata, conquista la parte principale in un melodramma in costume facendo breccia nel cuore dell’affermato protagonista Stefano. Ma l’amore che rimbalza dalla realtà al set, dove si gira una specie di Signora delle camelie, viene messo in crisi dal successo della donna: la sua voglia di indipendenza reggerà alla scoperta dell’attesa di un figlio? Finendo con Il rosso e il blu, con Margherita Buy, Riccardo Scamarcio e Roberto Herlitzka. Tema: la scuola. Con commento. All’inizio di un nuovo anno scolastico in un liceo romano si ripropongono i problemi di sempre: la preside Giuliana (Margherita Buy) è alle prese con le ristrettezze del budget, lo scoramento cronico del vecchio professore di Storia dell’arte Fiorito (Roberto Herlitzka) si scontra con l’eccesso di certezze e buoni propositi di Prezioso (Riccardo Scamarcio), il giovane supplente di Lettere. La superficialità di molti allievi non aiuta nessuno. Confermando doti e propensioni preziose del suo autore, questa volta Piccioni visita la scuola, un universo immobile e immutabile, contraddistinto da eterne figure umane ed istituzionali. Tratto dal libro di Marco Lodoli, l’azione si svolge in tutti i classici luoghi deputati come la sala insegnanti, la palestra, le aule, i corridoi ecc. individuando i ‘caratteri’ e la varia umanità. Intimo e corale allo stesso tempo, Il rosso e il blu crede che sia possibile ancora fare qualcosa, trovare dei livelli di comunicazione accettabili, avere il senso di un lavoro da compiere, credere nel valore della bellezza, provare simpatia e solidarietà verso gli esseri umani, riscattarsi in nome della cultura e dell’amore. Perché la preside seguirà fino all’ospedale la storia di un allievo, malato e senza famiglia: rispettando la sua funzione istituzionale ma comunicando anche un sentimento materno. Fiorito, dopo aver riscoperto una sua ‘antica’ allieva praticamente innamorata di lui, riuscirà finalmente a fare una lezione carica di senso sul ‘Romanticismo’. Il giovane Prezioso (attenti ai nomi), entusiasta ,ma nello stesso tempo fermo nel suo incarico, disperderà l’apatia dei suoi ragazzi, in particolare di una ragazza, apatica ed impersonale che pensa solo a scappare di scuola per raggiungere l’amato che l’aspetta fuori di scuola anche fuori orario. Per chiudere: il cinema di Giuseppe Piccioni incontra sempre vite (e destini) di personaggi dell’oggi, frugando nel disagio ed esponendo la bellezza e la fatica di vivere. Se ripercorriamo i quattro film che, senza particolari pretese, abbiamo descritto ci accorgiamo che vi è in lui una ‘dolce ossessione’: l’amore per la vita, in particolare per quella dei giovani che cercano, tra inevitabili contraddizioni, di dare ad essa un significato che lasci il segno. Autore anche di: Il grande Blek (1987), Chiedi la luna (1991), Condannato a nozze (1993), Cuori al verde (1996), Fuori dal mondo (1999), Giulia non esce la sera (2009).