Qui Trieste. Alabama?

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Gli organizzatori di un’importante manifestazione atletica, una maratonina che si svolge annualmente a Trieste, hanno deciso di escludere dalla partecipazione all’edizione di quest’anno gli atleti provenienti dall’Africa. Detta così, e con i tempi che corrono, potrebbe ingenerare il dubbio che si tratti di un atteggiamento vagamente razzistico, ma la cosa non poteva certo avere motivazioni del genere, essendo stata annunciata da chi presiede la manifestazione seduto al medesimo tavolo del Sindaco della città, del Vice-presidente e Presidente della Regione, nessuno dei quali ha mosso un minimo rilievo all’estemporanea decisione. Difatti la motivazione che stata fornita per la bizzarra esclusione è stata che con essa s’intendeva colpire i manager che assoldano atleti in Africa per sfruttarli, sottopagandoli rispetto ai concorrenti europei. Come a dire che non si consumeranno più pomodori italiani per evitare i fenomeni di caporalato dei quali sono vittime immigrati nel nostro Meridione, oppure che si intende vietare il ricovero ospedaliero di malati e infortunati per stroncare sul nascere ogni episodio di “mala sanità”.

Il patron della manifestazione, dopo che la notizia della sua decisione ha fatto il giro del mondo, sollevando indignate reazioni che non è stato possibile confinare (come pure è stato tentato) all’ambito della propaganda elettorale, ha alfine deciso di recedere dal suo strampalato proposito, affermando tuttavia che si era trattato di «una provocazione che ha colto nel segno», semmai ammettendo una leggerezza nella comunicazione, cosa non di poco conto per lui, giornalista professionista, inserito per di più nell’Ufficio stampa e comunicazione della Regione.

Una tempesta in un bicchier d’acqua, come piace derubricare il fatto al Sindaco di Trieste? Potrebbe essere, se non fosse che l’immagine della città è stata esposta a un fuoco di fila sostanzialmente unanime su buona parte della stampa italiana e di quella internazionale, da Le Monde al New York Times, dalla BBC alla CNN. Ma anche questo potrebbe essere poco.

Il fatto è che questo episodio si inserisce in un contesto locale e nazionale inquietante sotto il profilo della rispondenza dei comportamenti ai valori della Costituzione. Azioni di singoli e di gruppi, prese di posizione pubbliche di amministratori e di masse crescenti di cittadini non si peritano di dimostrare anche pubblicamente un’insofferenza per valori quali l’uguaglianza di fronte alla legge, la solidarietà sociale, la lotta alla discriminazione basata su fattori etnici, religiosi, di orientamento sessuale, di convinzioni politiche. Questo mutato clima finisce per costituire un fatto culturale prima che politico, cosa della quale si sono resi conto per primi gli esponenti della destra, che difatti cercano di occupare ogni posto disponibile, dalla RAI in giù, in ogni organismo che si occupi di cultura o di comunicazione.

Di tale strategia fanno parte l’uso spregiudicato dei social, la reiterazione di slogan spesso ingannevoli e fuorvianti, l’uso disinvolto dei dati statistici (si pensi ai migranti irregolari, valutati in 5-600.00 e recentemente ridotti a 90.000, dopo che una martellante campagna di disinformazione ha proclamato per anni il pericolo di invasione del Paese).

In tal senso, la mozione approvata dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia contro il Vademecum pubblicato da alcuni storici costituisce un precedente di non poco momento, in quanto intende assegnare a un organismo elettivo, sottraendolo agli studiosi della materia, il potere di valutare la qualità dei contenuti di una ricerca storica. A fianco a questo, comportamenti quali la rimozione delle povere cose di un senza tetto messa in atto da un esponente di Giunta comunale o la negazione dell’accesso alla Piazza Unità per una manifestazione pubblica rivendicante l’uguaglianza dei diritti di genere, rischiano di divenire normalità. Ma comportamenti normali non sono affatto.