Ricordando Lidija Kozlovič

| | |

In teatro abbiamo vissuto tante vite e tante morti: tante vere vite e tante finte morti. E sappiamo che nessuno muore finché resta una pur lieve traccia nel ricordo di chi l’ha ammirato in scena

di Miroslav Košuta

 

Nel decimo anniversario della scomparsa di Lidia Kozlovič il Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Trieste le ha dedicato una serata lunedì 30 settembre, incontro al quale sono intervenuti Stefano Bianchi, Anna Rosa Rugliano, Marko Sosič, Franco Però, Paolo Quazzolo, Gianni Gori, Nikla Petruska Panizon, Andrea Germani, Lorenzo Zuffi e il poeta Miroslav Košuta, per oltre vent’anni direttore del Teatro Stabile Sloveno di Trieste, che ci ha fatto pervenire il testo del suo intervento, che volentieri pubblichiamo di seguito.

Lidia Kozlovič, nata a Momiano d’Istria nel 1938 e scomparsa a Trieste nel 2009, si è formata presso l’Accademia di Teatro, Radio, Cinema e Televisione di Lubiana e successivamente ha lungamente collaborato con il Teatro Stabile Sloveno di Trieste, nell’ambito del quale ha interpretato i ruoli femminili più importanti, sia negli anni giovanili che in quelli della maturità, accostando tanto testi di autori classici (memorabile la sua interpretazione di Giocasta nell’Edipo re di Sofocle), quanto di autori moderni sloveni (in particolare Ivan Cankar, ma anche Oton Župančič e numerosi altri) e del panorama teatrale internazionale (Cechov, Pirandello, Garcia Lorca e, anche qui, numerosi altri). Tra il 1965 e il 1993 ha collaborato anche con il Teatro stabile del Friuli Venezia Giulia, usando il nome Lidia Coslovich. Importanti anche le sue interpretazioni cinematografiche e televisive. Tra i riconoscimenti più importanti il premio Prešeren che le è stato conferito nel 1982.

In occasione della serata del 30 settembre, è stata presentata la  la riedizione del volume KL Cara Lidia, sorta di autobiografia o biografia-intervista realizzata da Anna Rosa Rugliano per l’editore Battello Stampatore, con nuove testimonianze ed apparati, annali e indice dei nomi, utili a reperire le notizie nel testo. Il volume, edito in versione bilingue con la traduzione in sloveno di Veronica Brecelj, raccoglie testi e testimonianze di Marko Sosič, Franco Però, Livia Amabilino, Ariella Reggio, Renzo Stefano Crivelli, Andrea Germani, Paolo Quazzolo, Franco Bruno, Gianni Gori, Antonio Calenda, Giovanni Esposito e Leopold Bibič.

 

 

 

Carissimi amici,

ho difficoltà a trovare parole giuste per certi sentimenti e mi scuso in anticipo. Oltre al problema linguistico c’è una sottile paura di poter essere interpretato male, poiché il mio rapporto con Lidija Kozlovič è stato di varia natura, molteplice e sfaccettato ed è durato una vita. O quasi una vita intera: infatti ci siamo conosciuti da studenti a Lubiana, dove lei si è presentata all’Accademia d’arte drammatica, ma già con un bagaglio di esperienza personale da dimenticare.

Per essere breve voglio porre l’accento sulla Lepa Vida (La Bella Vida) di Ivan Cankar nella magnifica messa in scena della regista Meta Hočevar che ha avuto la brillante idea di interpretare la divisione della società in due classi, due mondi, con la lente d’ingrandimento puntata sulla nostra città, sulla nostra quotidianità, sugli amori e le difficoltà di due etnie in un bicchier d’acqua, a confronto ogni giorno e tutta la vita, anche in questo momento.

La Hočevar non ha avuto esitazioni nel scegliere come interprete principale Lidija Kozlovič, ed è stata sua anche l’idea di assegnarle l’onore e l’onere di tradurre la propria parte del testo in italiano. Chi l’avrebbe fatto meglio di lei, bilingue e figlia delle due comunità?

E poi la regista si è inventata la presenza muta dello Scrittore e, scusatemi, ha scelto me, anche se non potevo interpretare il mingherlino Cankar.

Comunque ho avuto un occasione unica, che ogni direttore teatrale dovrebbe provare: essere presente sul palcoscenico con gli attori, fare parte di quella massa creativa, sentire i palpiti e le incertezze di ognuno di loro.

Rivivere lo spettacolo ogni sera vuol dire partecipare a tanti spettacoli quante sono le repliche. E Lepa Vida ha portato al Teatro Stabile Sloveno anche il maggior successo della sua storia, il primo premio assoluto al Festival Sterjino pozorje di Novi Sad, la rassegna delle migliori produzioni teatrali jugoslave. E Lidija e la Hočevar hanno avuto l’onore di essere alla conferenza stampa bersaglio di feroci attacchi antisloveni della critica serba o almeno di una larga parte di essa: in quei giorni infatti negli alberghi appaiono le prime foto di Miloševič.

A confermare la qualità dello spettacolo c’è stata pure l’affermazione al festival di Maribor e infine l’invito a Leningrado, quando anche questa città stava per cambiar nome.

Così vedo e rivedo un velo bianco e trasparente così vicino a me, lo Scrittore che sta creando il testo, e così lontano nel magico mondo di Lidija, che seguo non con invidia (poiché provo anche questa), ma con tanta ammirazione. Perché lei possedeva una bacchetta magica, è stata una fata, è stata un’attrice, una grande e completa artista: è stata, è Lidija, la nostra bella e amata Lidija Kozlovič. Ma non ho avuto l’occasione di ammirarla solo nel grande spazio del Kulturni dom, ma anche al Teatro di Torino e alle prove dell’Eliseo a Roma, nel cinema e nella TV, sia sloveni che italiani.

Grazie Lidija, tutto è passato, ma le stelle brillano ancora, e una di esse splende di una luce particolare, tutta sua e solo sua, riconoscibile e inconfondibile nel nostro firmamento. Sarà anche, il nostro, un mondo piccolo e molto particolare, ma è pur sempre un mondo nell’universo…

Colgo l’occasione non già di mettere un fiore sulla tomba, ma di accendere per un attimo i riflettori e dire hvala Lidija, grazie carissima per aver colto l’opportunità di amalgamare, di collegare le anime della nostra città e grazie anche per qualche amaro caffè tra amici.

E dico anche grazie Mira, Zlata, Miranda e Bogdana, grazie Silvij, grazie Livio, Stojan e Gigi, grazie Jože, e non solo Jože Babič, grande regista, ma anche Jože Sedmak, la formica tuttofare dietro le quinte, nel grande formicaio sempre in movimento, grazie a tutti coloro che qui non posso citare: l’elenco è troppo lungo per venticinque anni di teatro.

Ma non posso non dire grazie Irena, la bella giovane che nel dramma di Cankar interpretava la morte, cui la vita ha imposto con grande anticipo di scegliere il momento che è dietro l’angolo per tutti.

In teatro abbiamo vissuto tante vite e tante morti: tante vere vite e tante finte morti. E sappiamo che nessuno muore finché resta una pur lieve traccia nel ricordo di chi l’ha ammirato in scena.

E perciò grazie anche a voi per l’invito a questo incontro e per avermi fatto rivivere dei bellissimi ricordi.