Una villa, un bosco, un cocktail di ceneri

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Con Villa Ermione è in vendita una fetta di arte, storia e cultura. Ma non solo…

di Roberto Curci

 

Si chiamò dapprima Villa Fontana, dal nome di colui che, nei primissimi anni dell’Ottocento la fece costruire, Carlo d’Ottavio Fontana, famiglia di farmacisti ticinesi giunta qualche decennio prima a Trieste (e non è certo se davvero l’architetto scritturato fosse il rinomato neoclassicista Pietro Nobile). Si chiamò poi Villa Sordina, e quindi Villa Economo, a seconda delle ricche famiglie che via via la occuparono. Di sicuro fu ripensata e ampliata da Ruggero Berlam nel 1893 e da Giorgio Widmer nel 1907. Ma ormai il suo nome invalso, da quello di una fra le tante della schiatta Economo, era Villa Ermione; e come tale ancor oggi è nota, benché quasi sconosciuta ai triestini per la sua recondita ubicazione, infrattata com’è all’inizio della via di Romagna e dunque alle prime pendici del colle di Scorcola.

Storia sociale e storia culturale s’incrociano in Villa Ermione: basterebbe, a provarlo, il legame che con quel bel sito ebbe lo scrittore e diplomatico Paul Morand (Parigi, 1888-1976), accademico di Francia, personaggio controverso per le sue posizioni ideologiche reazionarie e antisemite, e per il suo collaborazionismo col regime di Vichy al tempo dell’occupazione nazista.

Trieste è una delle costanti della sua complicata esistenza, fin da quando la sua strada incrocia quella della futura moglie, Hélène Chrissoveloni (principessa Soutzo, per via del suo primo matrimonio con un nobile greco-romeno, Dimitri Soutzo). Di famiglia greca doviziosamente trapiantata in Romania (lei è nata nel 1879 a Galati), Hélène ha una madre triestina, Calliroe Economo: e proprio la sua semi-triestinità è alla radice di una delle prime prove narrative di Morand, Lewis et Irène, pubblicato nel 1924, tre anni prima che in seconde nozze l’ex principessa (cui il titolo rimarrà comunque appiccicato) sposi il disinvolto scrittore francese, con cui già da tempo ha un intenso affaire, nutrito anche di profondi interessi culturali e mondani (Marcel Proust vi svolge un importante e complesso ruolo).

Della città adriatica Morand avrà modo di farsi idee assai precise: non solo vi ambienterà il libro sopra citato, al cui epicentro c’è una banca greca in una certa via di Trieste con un indirizzo preciso, via Petrarca 8. In quello che è considerato il suo libro-testamento, Venises (1971), scriverà: “è una strana sacca di civiltà, Trieste, cittadella dissimulata, popolazione muta, reticente, impaurita, ancora con il profumo d’un tempo, sopravvissuta come un’eccezione, con gli orecchi bassi, imbarazzata dalla propria latinità di fronte agli schiavoni biondi, nuovi conquistatori della riva opposta”.

Di Morand Hélène è amante, moglie e complice: una sintonia perfetta, una vita di agi e di lussi. Molto graziosa, ricchissima, di carattere forte e caparbio, capace di grandi infatuazioni e di grandi antipatie, sarà per decenni una protagonista assoluta del bel mondo parigino, l’animatrice di uno dei più rinomati salotti della Parigi tarda-Belle Epoque, in concorrenza con quelli della principessa-scrittrice Marthe Lucile Bibesco e di Anne-Elisabeth de Noailles (nata a sua volta Bibesco), anch’esse di trasparente origine romena. Alla prima Giovanni Boldini dedicherà uno sfarzoso ritratto, alla seconda sarà Auguste Rodin a devolvere un bel busto marmoreo. Hélène Chrissoveloni in Morand si dovrà accontentare di due statuarie immagini fotografiche del grande Nadar.

Hélène verrà a mancare nel 1975. Qualche anno prima Morand era però risalito a Villa Ermione e in Venises l’aveva anzi descritta puntualmente, pur ribattezzandola Villa Persefone. Che ci faceva Morand a Trieste negli ultimi anni Sessanta? Era in visita a due cugine acquisite che allora risiedevano nella vecchia villa e che recavano l’impegnativo cognome di Helmreichen von Brunfeld, nonostante la diretta discendenza dal ramo Economo. E da loro che voleva? Essere accompagnato nel piccolo cimitero greco-orientale, dove aveva deciso che, nella madornale tomba Economo-Helmreichen, giacessero un giorno le ceneri di Hélène e anche le sue, irritualmente miscelate.

Così in effetti sarebbe avvenuto, alla morte di Hélène (fu Morand stesso a recare a Trieste l’urna con le ceneri, mormorando desolato: “Cinquant’anni di felicità…”). Appena un anno dopo, lui la seguì e i suoi funerari desideri vennero rispettati alla lettera. Oggi un’umile lapide, ai piedi della “nobile piramide di pietra, alta sei metri” descritta dallo stesso Morand in Venises, ricorda l’accademico-ambasciatore francese e anche il “voyageur” che “continue sa route avec quelle qui fut et sera toujours son ange gardien”.

E Villa Ermione, forse ci si chiederà? Dopo lunghe traversie, anche giudiziarie, è oggi in vendita. Con soli tre milioni ci si può aggiudicare una fettina di storia cittadina, oltre a un’elegante dimora e, soprattutto, a un parco di 6350 metri quadrati. Un parco? Meglio dire un suggestivo polmone verde nascosto nel cuore della città. Ed è proprio questo a fra tremar le vene ai polsi ai pochi avveduti che sempre sospettano (spesso a ragione) mire affaristiche e trame speculative. Tanto più che su Villa Ermione non risultano incombere tutele o vincoli artistici o architettonici. Dunque, mano libera ai suoi danarosi acquirenti.

Diciamolo francamente: quella villa, quella foresta si sarebbero meritate (e ancora si meriterebbero) un pubblico salvataggio. Prima che alle ceneri di Paul ed Hélène se ne aggiungano altre. Meno storiche, ma più dolorose per la comunità.