Sandro Chia: enigmi di presenza
Enzo Santese | Il Ponte rosso N° 36 | luglio-agosto 2018 | mostre in regione
La presenza umana è inserita in un ambiente i cui elementi paiono più oggetti di scena in un teatro di posa che reali evidenze di natura
L’elaborazione sincretica di Sandro Chia congiunge in una dinamica aggregante i segnali che gli provengono dalla conoscenza dei maestri del passato
di Enzo Santese
Nell’ambito del progetto di studio di alcune presenze significative dell’arte contemporanea, il gruppo culturale “Aeì mèlos / Sempre musica” di Trieste ha organizzato nella sede di viale Miramare un incontro di approfondimento dell’opera di Sandro Chia, con filmati anche inediti.
Alla fine degli anni ’70 l’arte italiana ha prodotto un’accelerazione alla ricerca artistica su tutto lo scenario internazionale, grazie a un gruppo di artisti (Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino), che poi hanno saputo svincolarsi dal retaggio di quell’evento seguendo orbite evolutive diverse, con il gran pregio di una riconoscibilità autonoma per ognuno. In quel periodo si registra un’inversione di tendenza, su cui giocano molteplici fattori che si rinforzano a vicenda, esaltando talora gli effetti, e si coalizzano nell’affermazione di una discontinuità, evidente nel rapporto con le esperienze dei decenni precedenti, dominati dalle ricerche concettuali. “In tal modo l’arte […] si presenta positivamente frantumata, disseminata in molte opere, ciascuna portante dentro di sé l’intensa presenza della propria esistenza, regolata da un impulso circoscritto alla singolarità dell’opera creata. Così si delinea il concetto di catastrofe, intesa come produzione di discontinuità in un tessuto culturale retto negli anni Sessanta dal principio dell’omologazione linguistica” (Achille Bonito Oliva, The Italian Trans-Avantgarde/ La Transavanguardia Italiana, Giancarlo Politi Editore, Milano, 1980, p. 50).
La realtà che più decisamente ha impresso velocità a questo processo è la Transavanguardia, codificata da Bonito Oliva nel saggio critico che è stato punto di riferimento anche nel contesto internazionale. Già nel gruppo d’origine Chia esprime un’opera con caratteri distintivi propri, riaffermati con chiarezza nei decenni seguenti. Lo sguardo è rivolto dall’artista a una classicità che non ritorna come replica, bensì come rampa per un percorso nuovo, dove si inseriscono elementi dell’attualità dentro una dimensione temporale, sfuggita alla tirannia della fluidità e solidificata invece dentro il contenitore di un eterno presente. “Sostanzialmente l’arte trova dentro di sé la forza di stabilire il deposito da cui attingere l’energia, necessaria per costruire le immagini – afferma Achille Bonito Oliva – e le immagini stesse, intese come estensioni dell’immaginario individuale che assurge a valore oggettivo e accertabile tramite l’intensità dell’opera.” In tale ambito l’opera di Sandro Chia, sganciata progressivamente dalle sperimentazioni concettuali degli anni precedenti, si incammina lungo un itinerario dove i mezzi costitutivi della pittura e del disegno sono il combustibile necessario alla spinta e allo sviluppo ulteriore, fino all’approdo su una sponda attraversata da tensioni poetiche specifiche, che sempre più assumono nota peculiare individuale anche all’interno del gruppo della Transavanguardia. Pur essendo uno degli esponenti significativi della corrente teorizzata da Achille Bonito Oliva, Sandro Chia mantiene una sua decisa marcatura individuale, leggibile nei sedimenti culturali a cui attinge a piene mani, nella resa figurale, nell’utilizzo di un colore che, lungi dall’avere una funzione marginale nella logica compositiva, diventa uno strumento significante autonomo, spinto a cooperare con il segno nella traduzione visiva del suo pensiero.
La valenza metaforica della figurazione
Come negli “enigmi”, brevi testi che esprimono in maniera coperta e allusiva un concetto, coinvolgendo il lettore nell’interpretazione, questi dipinti di Chia propongono agli osservatori di entrare nella pittura e di ricostruirne il senso attraverso i suggerimenti indiretti del quadro, i segni, le combinazioni grafiche, l’arbitrio dei colori, la sostanza compositiva dislocata tra memoria e attualità, la strategia cromatica corrispondente unicamente a una realtà immaginata. Quindi la valenza misteriosa delle opere è inscritta nell’atteggiamento indecifrabile delle figure, presenze che, col loro essere, concretizzano proprio il dato dell’enigma. Collocate in una dimensione senza tempo, sembrano protagoniste di vicende regolate dai ritmi della fiaba, dove memoria e fantasia, risonanza del mito e rumori di una permanente attualità, li fanno assurgere a emblemi universali dell’esistenza e del pensiero. La scena, rispetto alle opere classiche della Transavanguardia, ha smaltito parte dell’ “opulenza espressiva”, sfrondando anche lo scenario da una sovrabbondanza di elementi costitutivi, per isolare all’interno del quadro quei fattori che si combinano per assonanza o contrastano per logica strutturale. Attenuata anche la “maniera” di certe corrispondenze tra figura e sfondo, fra colore fisico e tinta atmosferica, fra segno di contenimento e tratto di contorno, l’immagine si installa in una fissità che non è preludio ad avvenimenti imprevisti, bensì approdo di quiete dopo viaggi esistenziali, sistemazione di enigmi dentro la realtà di uno spazio governato dal coesistere di luce e ombra, come stati di decantazione della vitalità propria delle presenze ritratte.
Le opere dei primi anni 2000 hanno una valenza metaforica che le rinvia a un tempo indefinito. Lo spazio invece lascia all’occhio dell’osservatore qualche minimo indizio del paesaggio toscano, quel medesimo in cui Sandro Chia è cresciuto, si è nutrito, continua ad operare non solo nell’ambito della pittura ma anche in quello della produzione di vino di gran qualità.
Nelle tecniche miste su cartoncino (distinte tra l’altro dalla cornice liscia) la presenza umana è inserita in un ambiente i cui elementi paiono più oggetti di scena in un teatro di posa che reali evidenze di natura. La figura, risolta con pochi squadrati tocchi che rendono l’anatomia in maniera piuttosto approssimativa, si completa con un colore che ha la duplice funzione di segnare e di riempire. Il disegno è estremamente semplificato in linee di spessore variabile, quasi margini di contenimento per un colore che ha abbandonato ogni tensione materica per farsi liquidità trasparente, in cui le tinte talora si sovrappongono senza confluire in altre, ottenute dalla loro fusione. La dislocazione cromatica risponde a un criterio di umori variabili, arrivando a tappezzare la figura come fosse una parte integrante del paesaggio; è un modo per muovere la fissità dell’immagine e far pulsare la superficie di ragioni estetiche più che di tracce logiche nella specularità con il reale.
Nei monotipi (riconoscibili, tra l’altro, per la cornice barocca, parte integrante dell’opera realizzata dall’artista stesso, che sembra increspare lo spazio ondulando gli effetti della luminosità sui suoi rilievi), Sandro Chia parte dalla base serigrafica per interventi a tecnica mista, che le danno il pregio dell’unicità. Le figure riecheggiano moduli desunti dalla classicità novecentesca dell’arte italiana: certa monumentalità della figura nell’arte di Mario Sironi, la possanza macilenta dei personaggi di Carlo Carrà, il dato del silenzio evocato dalle creature di De Chirico. Ma molti altri sono i richiami colti, che una tensione nomade porta l’artista ad adottare mutuando stilemi e operando contaminazioni in una sintesi, che risolve inquietudini del contemporaneo e ansie dell’attualità dentro la grande sfera della proposta estetica; qui il colore è sensazione pura, libera dai condizionamenti del contorno e diffusa in un ambiente irrorato da effusioni sentimentali diverse. Questi corpi paiono rivestiti dalla figura retorica dell’ossimoro, cioè ricoprire il ruolo di eloquenti emblemi del contrasto profondo – tipico anche della civiltà contemporanea – tra la loro disposizione al racconto e la ricorrente necessità del silenzio, della riservatezza, del colloquiare esclusivamente con se stessi. Pertanto le figure, sulla superficie dipinta, “sostano” mute e silenziose, pur capaci di comunicare intensamente.
L’elaborazione sincretica di Sandro Chia congiunge in una dinamica aggregante i segnali che gli provengono dalla conoscenza dei maestri del passato (Tiziano, Masaccio, Tintoretto, Lotto, Michelangelo) e dei contemporanei (De Chirico, Leger, Cezanne e Chagall). I personaggi trasmettono una temperie di attesa indefinita, di abbandono melanconico alle regole dell’esistenza, di sospensione tra la loro evidente fisicità e la spiritualità del sentire, suggerita da un impianto cromatico che vive su molteplici stesure, qualche volta in un reticolo di segni, tracciati a quantificare lo spazio teso dell’evento. Così i quadri allineano una complessa teoria di emozioni affidate a primi piani, dove la spontaneità del gesto si incanala nella direttrice di una strategia compositiva che allude a una profonda tranquillità interiore.