Sartre e la libertà

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di Stefano Crisafulli

 

L’uomo è condannato a essere libero. Questa celebre frase del filosofo francese Jean-Paul Sartre, padre dell’Esistenzialismo, può essere considerata il nocciolo del suo pensiero e si potrebbe sintetizzare, in parole povere, con un’altra affermazione altrettanto drastica: l’essere umano non ha scuse. Lo dice chiaramente, Sartre, in quell’agile volumetto che ha fatto la storia della filosofia del Novecento, dal titolo: L’esistenzialismo è un umanismo (ediz. Mursia), frutto della trasposizione di una conferenza pubblica tenuta nell’ottobre del 1945 a Parigi, presso il Club ‘Maintenant’, al fine di spiegare che cosa fosse e che cosa volesse l’Esistenzialismo, al di là delle mode e dei fraintendimenti, e che poi darà luogo, per tutta risposta, alla Lettera sull’umanismo del suo collega Martin Heidegger. Par proprio di vederlo, il filosofo francese, pipa alla mano, mentre dialoga con i parigini, appena usciti da una guerra terribile e rovinosa, sfiniti dall’occupazione nazista, ma con un desiderio fortissimo di libertà e di un nuovo futuro da realizzare, nonostante le macerie reali e morali in cui si trovavano. Eppure lui, che è stato fatto prigioniero dai tedeschi e che, riuscito a fuggire dal campo di concentramento di Treviri, si unirà ai partigiani, non vuole consolare nessuno con il suo pensiero. Anzi, proprio per evitare che fascismo e nazismo possano ritornare, sottolinea la durezza e, allo stesso tempo, la necessità cogente del suo concetto di libertà.

Sin dal suo capolavoro filosofico del 1943, L’essere e il nulla (ed. italiana Il Saggiatore), la libertà è al centro delle sue riflessioni come elemento costituente dell’essere umano: «La libertà umana – dice Sartre – precede l’essenza dell’uomo e la rende possibile». Ma non la libertà interiore degli stoici, bensì la libertà reale di scelta della propria condizione, come afferma in un altro passo del testo del ’43: «Quando dichiariamo che lo schiavo è libero, nelle sue catene, quanto il suo padrone, non vogliamo parlare di una libertà che sarebbe indeterminata. Lo schiavo in catene è libero di romperle; ciò significa che il senso stesso di queste catene gli apparirà alla luce del fine che avrà scelto: restare schiavo o arrischiare il peggio per liberarsi dalla schiavitù» (L’essere e il nulla, cit., pag. 611). E ancora: «Le più atroci situazioni della guerra, le peggiori torture non creano stati di cose inumani: non ci sono situazioni disumane; è solo per paura, fuga e ricorso a comportamenti magici che deciderò dell’inumano, ma questa decisione è umana e ne sopporterò tutta la responsabilità». Da queste citazioni consegue che:

lo schiavo è tale perché vuole esserlo, perché ha deciso così e non basta consolarsi stoicamente dicendo che in fondo al suo animo l’uomo è sempre libero, perché nella realtà rimarrà schiavo;

non c’è alcuna giustificazione per le azioni inumane che vengono compiute in guerra, perché la responsabilità è sempre dell’individuo che le fa: non ci si può schermare dietro il paravento degli ordini da eseguire, come ad esempio accadrà poi durante i processi ai gerarchi nazisti;

Del resto, anche quando scoppia una guerra sono io che decido di combattere, non posso scaricare la mia scelta su nessun altro. E se ho un atteggiamento fatalista, vuol dire che l’ho scelto, così come chi non sceglie ha scelto di non farlo e se ne assume la responsabilità. E qui arriviamo ad un altro concetto chiave, legato a filo doppio con la libertà: la responsabilità. «L’uomo – scrive Sartre in L’esistenzialismo è un umanismo – è responsabile di quello che è», e ancora: «L’uomo non è nient’altro che quello che progetta di essere; egli non esiste che nella misura in cui si realizza; non è, dunque, niente altro che l’insieme dei suoi atti, niente altro che la sua vita». Certo, Sartre si rendeva conto già allora della durezza di tali affermazioni, eppure in questo modo sgombrava il campo da un atteggiamento ancora peggiore, per una filosofia di questo tipo, del fatalismo: la malafede. Ovvero tutte quelle scuse che l’essere umano mette in campo per giustificare le sue scelte e che dovrebbero dipendere, spesso o quasi sempre, da circostanze esteriori o da decisioni altrui.

Questa ricerca di scuse, pur comprensibile a livello umano, non può, però, essere giustificata da Sartre, che afferma: «Un uomo s’impegna nella propria vita, disegna il proprio volto e, fuori di questo volto, non c’è niente. Evidentemente questa idea può parer dura a qualcuno che non è riuscito nella vita. Ma, d’altra parte, essa dispone gli animi a comprendere che soltanto la realtà vale; che i sogni, le attese, le speranze permettono soltanto di definire un uomo come un sogno deluso, come una speranza mancata, come un’attesa inutile» (L’esistenzialismo è un umanismo, pag. 79). Difficile da digerire, ma è così e nessun dio ci potrà salvare, perché, mutuando una famosa frase di Dostoevskij e facendola sua, Sartre dice che: «Se dio non esiste tutto è permesso» e quindi «non vi sono valori prefissati che possano legittimare la nostra condotta. […] Siamo soli, senza scuse». E condannati alla libertà.

 

Riquadro:

 

Rifiutò il Nobel per la Letteratura

Jean-Paul Sartre nacque a Parigi il 21 giugno 1905. Rimasto orfano di padre a quindici anni, fu cresciuto dalla madre e dal nonno materno, che lo avviò allo studio e alle Lettere. Dopo gli studi all’Ecole Normale supérieure, conobbe Simone de Beauvoir, che in seguito fu sua compagna di vita. Insegnò filosofia in diversi licei fino al 1945. Richiamato alle armi, fu fatto prigioniero e internato a Treviri, ma riuscì a liberarsi dalla prigionia tramitte un falso certificato medico e, una volta libero, aderì alla Resistenza nella medesima formazione di Albert Camus. Al termine della seconda guerra mondiale, si dedicò esclusivamente alle sue opere filosofiche e letterarie, tra cui i romanzi La Nausea (1938) e I cammini della libertà (1945-1949).Per il teatro scrisse: Le mosche (1943); A porte chiuse (1944); Le mani sporche (1948), un’opera sul fine e i mezzi nell’azione politica che suscita polemiche da parte del Partito Comunista Francese. Nel 1945 aveva fondato la rivista Les Temps modernes che sintetizza i suoi tre interessi fondamentali: la filosofia, la letteratura, la politica. Si schierò contro la politica francese in Algeria, Nel 1964 l’Accademia di Stoccolma gli conferì il Nobel per la Letteratura, che lo scrittore tuttavia rifiutò il riconoscimento in quanto, come aveva già spiegato in occasione del conferimento della Legione d’Onore nel 1945, e dell’attribuzione del seggio al Collegio di Francia, riteneva che tali onori alienino la sua libertà di pensiero. Nella lettera inviata all’Accademia di Stoccolma scrive: « Il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso». Nel 1968 incoraggiò l’insurrezione studentesca. Tra i suoi saggi principali: L’Essere e il Nulla nel 1943 e La critica della ragione dialettica nel 1960. Dopo un lungo declino fisico, morì a Parigi, il 15 aprile 1980. L’evento ebbe risonanza mondiale.