Semantica dell’eufemismo

Il Grande dizionario della lingua italiana meritoriamente messo in rete dall’Accademia della Crusca così definisce l’eufemismo: «Figura retorica consistente nel sostituire, per ragioni di convenienza sociale o per preoccupazioni di carattere religioso o morale o anche per motivi politici, parole o locuzioni di significato attenuato all’espressione propria, per addolcirne o mascherarne l’eccessiva violenza e crudezza; o anche nell’alterare e nel trasformare la parola propria, soprattutto quando si tratti di un termine che interessa l’ambito della religione o della morale, per renderlo non immediatamente riconoscibile e censurabile […] In senso concreto: la parola, la locuzione che  esprime in forma addolcita un concetto brutto o sgradevole».

Per dirla in soldoni, usiamo un eufemismo quando diciamo che il tale è “scomparso” per evitare di dire che è morto, o quando parliamo di “fondoschiena” perché non ci pare elegante usare l’altro termine, che probabilmente ci verrebbe alle labbra, se non fossimo osservanti delle buone maniere.

Di eufemismi è infarcito il linguaggio politico, probabilmente dall’antichità classica in avanti, in quanto essi si rivelano funzionali a presentare una specifica realtà in maniera che sia meno indigesta ai cittadini o – in democrazia – a quella frazione del corpo elettorale che potrebbe sentirsi offesa, sminuita, presa in giro, penalizzata, discriminata. L’eufemismo, per limitarci ai casi più recenti ed eclatanti utilizzati nel nostro Paese a fini di distorsione del senso dai politici – ma anche (non sempre, ma troppo spesso) dai giornalisti – ha soprattutto lo scopo di non mettere a nudo, con l’uso di parole o locuzioni immediatamente percepibili, una realtà che s’immagina indigesta per chi l’ascolta o la legge.

è il caso, eclatante, del termine “occupabili”, usato di norma al plurale, venuto prepotentemente di moda allorché si doveva spiegare al popolo sovrano che il Governo intendeva sopprimere anticipatamente il reddito di cittadinanza, oltretutto in un periodo reso ulteriormente più ruvido dall’inflazione che rende sempre meno pieno il carrello della spesa nei supermercati. Perché “occupabili”, dunque, quando sarebbe più immediatamente comprensibile dire semplicemente “disoccupati”? Avete mai sentito dire «mio marito, purtroppo, è occupabile da due anni»? A rischiare di perdere il reddito di cittadinanza a partire dal prossimo mese è il 38,5% dei nuclei familiari che attualmente percepiscono la misura. Si tratta di circa 436.000 famiglie. In effetti sarebbe risultato imbarazzante per un ministro dire «toglieremo il reddito di cittadinanza a 436.000 famiglie di disoccupati»: roba da imposta sul macinato, o, alla francese, da «non hanno pane? che mangino brioche!». Invece, provvidenzialmente, “inoccupato” diventa un termine mimetico, che oltretutto ha il vantaggio di suggerire un’indisponibilità del soggetto a levarsi dal divano per andare a lavorare. Un pigro, un accidioso, uno svogliato…

Poi c’è l’altro eufemismo, quello della “pace fiscale”. Che sarebbe il solito condono per evasori o contribuenti distratti, indigeribile, intollerabile addirittura, per i contribuenti onesti, ma tant’è… Con quanto ogni giorno ci proviene dalla martoriata Ucraina, la parola “pace” include, col suo solo suono, una musica celestiale, un miraggio sospirato e lungamente atteso che si profila ad un orizzonte improbabile ma fortemente seducente. E incartare la pastiglia avvelenata di una nuova misura che favorisca i furbi e gli inadempienti a scapito degli altri, cosa di meglio può servire a chi considera le tasse un “pizzo di Stato”, senza eufemismo alcuno?

E quando non bastano più nemmeno gli eufemismi c’è sempre l’inglese, questa versione tristemente contemporanea del latinorum di Azzeccagarbugli. Così ci viene propinata la flat tax che fa pagare meno tasse a chi ha redditi più alti, o si ribattezzano working poor, senza dire che letteralmente significa “lavoratori poveri”, i disgraziati che si sudano un salario magari di quattro o cinque euro all’ora.

Vorrà mica che passasse questa legge sul salario minimo, vero contessa?