SHORTS: VINCONO FOOL’S DAY E HELIUM
Anna Calonico | cinema | luglio-agosto 2015 | Ponterosso N° 3
di Anna Calonico
Nonostante la pioggia che ha imperversato in un paio di serate, lo spettacolo di Pintus nell’adiacente piazza Unità, la bora che pareva volersi portar via lo schermo, la notte dei saldi e tante altre manifestazioni in giro per la città, anche la sedicesima edizione di ShorTs è stata un successo. Non poteva essere altrimenti, con la sigla che la rappresentava: il grande Napoleone in “persona” (un disegno animato che tralascia il cavallo bianco ma non il fedele copricapo) non sa se scegliere la conquista del mondo o un sacchetto di popcorn (che inevitabilmente ricordano il cinema) ma, udite udite! a vincere, con le note trionfanti dell’Inno alla gioia, non sarà la guerra.
Sarà per la varietà dei filmati, come temi, come tecniche usate, sarà per il fascino sempre indiscutibile di uno schermo gigante sotto le stelle (o le nuvole), ma anche quest’anno il pubblico ha dimostrato di essere affezionato a una manifestazione che unisce il piacere del cinema, con i film delle Nuove Impronte all’Ariston (dieci opere prime italiane che hanno visto primeggiare Medeas di Andrea Pallaoro); alle emozioni molteplici e immediate di una carrellata di cortometraggi che anche quest’anno si è tenuta all’aperto, in piazza Verdi. Per non parlare degli incontri con alcuni personaggi che nell’arte cinematografica ci lavorano: ospite d’eccezione quest’anno è stata Barbora Bobulova, l’attrice slovacca naturalizzata italiana che abbiamo conosciuto con film quali Cuore Sacro di Ferzan Ozpetek nel 2004 (David di Donatello come miglior attrice) e Anime Nere di Francesco Munzi oltre che, naturalmente, con il “triestino” Tartarughe sul dorso girato in questa città nel 2004 da Stefano Pasetto.
Ma i corti sono l’attrazione principale di questa kermesse che, non a caso, negli ultimi anni ha cambiato il suo nome da Maremetraggio a ShorTs: 89 i partecipanti, scelti da una giuria tra oltre 1300, provenienti da tutto il mondo e vincitori di almeno un premio. I trionfatori sono due, a pari merito, due storie completamente differenti, anche se protagonisti sono sempre i bambini: il danese Helium di Anders Walter, già vincitore dell’Oscar nel 2014 al festival Giffoni e l’americano Fool’s Day di Cody Blue Snider. Una storia tragica, tristissima, e una piena di comicità: in Helium il piccolo Alfred sta per morire e il suo assistente Enzo cerca di rendergli il passaggio meno doloroso raccontandogli storie leggere come l’elio; in Fool’s Day l’innocente pesce d’aprile di una classe di ragazzini si trasforma in tragedia perché qualcosa messo per scherzo nel caffè dell’insegnante le fa scoppiare la testa. E mentre in uno si sorride amaramente ascoltando le storie fantasiose di Enzo che ammette a testa bassa “Gli sto solo raccontando bugie” e si sente rispondere “Gli stai dando speranza”, nell’altro si ride di cuore nel vedere le espressioni sconcertate dei bambini e le loro assurde, fantasiose reazioni nel cercare di coprire il misfatto per non finire in prigione. Singolare che a vincere siano stati sentimenti così contrastanti: dalle lacrime del mondo immaginario di Helium si passa ad una esilarante storia splatter (la testa che scoppia sporca davvero tanto!), da una storia lenta, da raccontare a bassa voce, si arriva alla sguaiata fretta di piccoli assassini in cerca di strampalate salvezze.
Meritati in pieno questi due premi, un po’ più strana, forse, la menzione speciale di Thriller dell’italiano Giuseppe Marco Albano, storia di sogni giovanili ambientata in una Taranto in crisi lavorativa. Il concetto che si voleva esprimere è piacevole e positivo e sicuramente riesce a toccare il cuore degli spettatori, ma il corto lasciava un po’ a desiderare sul piano formale, se non altro per un suono non proprio pulitissimo. Altrettanto strano il premio del pubblico: l’inglese Drone Strike di Chris Richmond è un lavoro ben fatto e incisivo, fa sentire agli spettatori il peso di morti innocenti e, purtroppo, è sempre di grande attualità. Ma è curioso che, tra tante opere impegnate o divertenti, che trattano comunque temi di reale quotidianità, a vincere sia stato un film su una guerra lontana.
Un altro lavoro sulla guerra merita il premio “Oltre il Muro”, dove la giuria era composta da 14 detenuti della Casa Circondariale di Trieste che hanno votato come miglior lavoro italiano Child K, terribile racconto di Roberto De Feo e Vito Palumbo sulle sperimentazioni naziste, nate con l’iniezione letale al piccolo K, colpevole di non essere nato sano. La medesima giuria ha poi offerto una menzione speciale a L’attesa del maggio di Simone Massi, un originalissimo lavoro a pastelli in bianco e nero che ottiene anche il Premio Universal che permette al più promettente regista italiano la visione in Mediaset.
Tanti altri i premi assegnati: la collaborazione con il quotidiano triestino Il Piccolo ha decretato vincitore Luigi e Vincenzo, il brevissimo (appena 4 minuti) lavoro di Giuseppe Bucci che tratta, come molti altri in concorso, il tema dell’omosessualità. Un premio speciale è la novità di questa edizione: SweeTs4Kids, una giuria composta da 101 bambini dagli 8 ai 13 anni ha votato il miglior corto per ragazzi, selezionando il norvegese Psye di Siri Rutlin Harildstad tra 27 lavori di tutto il mondo. Per finire, per quanto riguarda i lungometraggi, il pubblico ha votato Short Skin di Duccio Chiarini, mentre i migliori attori sono stati Sara Serraiocco di Cloro di Lamberto Sanfelice e Daniele Savoca di The repairman del regista Paolo Mitton.
Ma il successo non è merito esclusivo dei vincitori: tanti, ed estremamente differenti tra di loro, i cortometraggi che meriterebbero di essere citati. Sempre a proposito di guerra, ad esempio, ricordava fatti realmente accaduti anche l’irlandese The weather report (Paul Murphy), storia apparentemente tranquilla del custode di un faro sperduto: proprio da quel faro verrà vista, per la prima volta, la tempesta che sposterà lo sbarco in Normandia al 6 giugno. Molto realistici erano Hatatzpitanit di Noa Gusakov sugli attentati in Israele, Eine gute Geschichte (Martin – Christopher Bode) che rende un’importanza insolita ma profonda ad una vecchia brocca scheggiata, o il tristemente dolce Melody Night di Kayhan Anwar, brevissimo lavoro a cartoni animati, senza dialoghi, ma con immagini estremamente esplicite. Sul tema dell’amore omosessuale si passava dal divertente Coming Out di Gina Wenzel (triplice, sconvolgente dichiarazione a una cena in famiglia) al tenero En Eftermiddag del danese Soren Green: affetti adolescenziali che temono e vogliono essere scoperti. L’amore, in tutte le sue forme, come sempre ha fatto da padrone in queste serate di cinema: in Mit besten Grüβen una ragazza vuole assolutamente conoscere il bel tipo che parcheggia davanti al suo locale ma, ahimè, non avviene come lei sperava e, anche se il regista decide di non mostrarlo, c’è da credere che la poveretta vorrebbe non aver tentato l’approccio. In Nena (Alauda Ruiz de Azua) l’amore che ha fatto tanto sognare e soffrire ritorna dopo sedici anni provocando una guerra di sensazioni interiori, ben espresse dall’inserimento in scena di una Nena giovane e disperata accanto alla stessa Nena più matura; An der Tür (Miriam Bliese) dimostra che, nonostante la separazione, l’affetto può rimanere e può farsi sentire anche tramite un banale citofono che riporta poche parole; Un parfum de citron ( Sarah Carlot) giustifica il tradimento di una notte per il bene della coppia, mentre Partouze (Matthieu Donck) addirittura vede nello scambismo un’opportunità per dare una svolta alla routine familiare. Domoj (Simona Feldman) ci parla di un altro tipo di amore: racconta la nostalgia del piccolo Juri per il padre emigrato in Germania per lavorare; l’olandese Cowboys Janken Ook (Mees Peijnenburg) svela come l’amicizia tra ragazzi possa superare anche gli ostacoli più duri come il coma, la lunga terapia riabilitativa e i rimorsi; infine il tedesco Pflegestufe (Julia Peters) unisce l’amore filiale a una tematica scottante e reale: la difficoltà di seguire genitori anziani, dividendosi tra burocrazia e meschinità come i soldi e realtà più intime ed intense, come la tragica consolazione per un furto avvenuto tanti anni prima.
Anche se molti lavori suscitavano risate di simpatia, come i francesi Fumer tue di Denise Powers e José di Alexandre Bouchet, i sentimenti più frequenti erano di amarezza, nostalgia, senso di inevitabilità, anche se spesso conditi da piccole dosi di tenerezza e umorismo. Molte altre opere sarebbero degne di menzione per il loro attaccamento a temi sociali di attualità o storici, non solo tra i filmati con attori in carne ed ossa ma anche tra quelli, numerosi, che hanno preferito utilizzare immagini a computer o a cartoni animati: tra i corti di animazione va segnalato non soltanto Oripeaux, lavoro francese di Sonia Gerbeaud e Mathias de Panafieu sulla prepotenza dell’uomo sulla natura che ha vinto il premio per il miglior lavoro del suo genere, ma anche Cuerdas di Pedro Solís García, una storia dolceamara sull’amicizia tra una bimba “normale” ed un bambino speciale: strappa lacrime e sorrisi, anche senza sapere che il regista si è ispirato ai suoi due bimbi, come ha raccontato ricevendo il premio Goya nel 2014: “Grazie a mia figlia Alejandra per avermi ispirato, a mio figlio Nicolas che vorrei non mi avesse ispirato”.