Sipario sulla stagione teatrale

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Viktor & Viktoria alla Contrada, Tempi nuovi e Il sogno di un uomo ridicolo al Politeama Rossetti

di Paolo Quazzolo

 

La lunga stagione teatrale triestina sta giungendo al termine proponendo agli appassionati gli ultimi spettacoli di cartelloni che ci hanno accompagnato, con appuntamenti spesso plurisettimanali, da ottobre a maggio. La Contrada – Teatro Stabile di Trieste ha concluso la sua stagione al Teatro Bobbio con uno spumeggiante Viktor & Viktoria, prodotto alla A. Artisti Associati di Gorizia e Pigra Srl. Interpretato da Veronica Pivetti e Giorgio Lupano, il testo è tratto da un film del 1933 diretto dal regista Reinhold Schünzel e interpretato da Renate Müller ed Herman Thimig, che nel 1982 conobbe un remake interpretato da Julie Andrews. La vicenda vuole rivelare i retroscena non sempre edificanti del mondo teatrale e le mille difficoltà nelle quali si dibattono gli artisti in cerca di una buona scrittura. Nella Berlino degli anni ’30 Vittorio, non riuscendo a trovare altro ruolo dignitoso, si è adattato a interpretare una parte femminile in una produzione di terz’ordine. Rimasto improvvisamente senza voce, l’attore si fa sostituire da Viktoria, una cantante disoccupata alla ricerca di una scrittura. Si viene così a creare una situazione grottesca in cui Viktoria, donna, deve fingersi fuori dalle scene uomo, per poi tornare a vestire i panni femminili una volta che sale in palcoscenico. Comunque sia, il successo è travolgente e l’aspetto androgino della protagonista risveglia passioni impreviste, sino allo scioglimento finale in cui tutto verrà chiarito. L’operazione di riscrittura della pellicola del 1933 è parsa – una volta tanto – riuscita, probabilmente perché non si è voluto fare il verso al film quanto piuttosto proporre un testo sì ispirato al modello, ma ripensato per il palcoscenico. “Diva” incontrastata della serata è Veronica Pivetti che al pari dello schermo televisivo, anche dal palcoscenico sprigiona grande simpatia, all’interno di uno spettacolo costruito molto bene, con una scenografia semplice ma funzionale e con un gruppo di attori affiatato. Applausi convinti per tutti.

Al Politeama Rossetti, in Sala “Assicurazioni Generali”, è stato proposto Tempi nuovi, divertente e riuscito testo di Cristina Comencini, che ne ha curato anche la regia. Autrice tra le migliori attive nel teatro italiano contemporaneo, la Comencini è drammaturga attenta alla vita dei nostri giorni e alle tematiche legate ai cambiamenti non solo tecnologici, ma anche culturali, che investono la nostra società. E così Tempi nuovi propone la storia di una coppia, lui professore di storia legato ai suoi libri e incapace a gestire le funzioni più elementari del computer; lei giornalista, che ha dovuto riconvertirsi alle nuove tecnologie con le quali crede di essere in piena sintonia. Al loro fianco due figli: Antonio e Clementina che rappresentano la nuova generazione. Ma i tempi nuovi si faranno sentire non tanto attraverso il gap tecnologico, quanto quello culturale, nel momento in cui la figlia confesserà alla madre di avere una relazione omosessuale. Da qui situazioni divertenti che tuttavia fanno riflettere sulle trasformazioni in atto nella nostra società e su come queste possano essere difficili da gestire per chi proviene dai “tempi antichi”. Tutti bravi i quattro attori, a partire da Iaia Forte e Ennio Fantastichini, sino ai due figli interpretati da Sara Lazzaro e Nicola Ravaioli.

Finale di stagione di grande effetto alla Sala Bartoli del Rossetti dove Gabriele Lavia ha riproposto, dopo quasi vent’anni, Il sogno di un uomo ridicolo. Tratto da un racconto di Dostoevskij, l’atto unico narra la storia di un uomo che, incapace di gestire i rapporti interpersonali, decide di farla finita. Ma nel momento stesso in cui sta per spararsi, si addormenta e sogna il suo suicidio e la sua vita nell’aldilà. Lo spettacolo, di grande coinvolgimento emotivo, ripropone in una versione scenica nuova lo spettacolo visto al Teatro Bobbio ormai molti anni fa. Reso visivamente ancora più asciutto rispetto la prima versione, l’allestimento non ha perso il suo fascino e la sua forza evocativa, ma soprattutto ha offerto al pubblico la possibilità di applaudire ancora una volta uno degli ultimi grandi attori della scena italiana. E qui si potrebbe aprire un lungo discorso attorno al nostro teatro italiano e all’ormai cronica mancanza di interpreti capaci di catturare l’attenzione del pubblico e di emozionarlo profondamente. Per chi non è più giovanissimo, dire Lavia significa riandare a spettacoli rimasti “mitici” nella memoria degli spettatori di più lungo corso: penso a spettacoli come Il pellicano, I masnadieri, Don Carlos, Il diavolo e il buon Dio, Macbeth, Riccardo III, La signorina Giulia o Il duello: serate memorabili con un Rossetti tutto esaurito sino in seconda galleria, in un’epoca in cui gli spettacoli di prosa restavano in scena in sala grande non cinque giorni ma due settimane consecutive. Oggi è molto diverso e spesso anche quegli attori osannati sul piccolo schermo, una volta visti dal vivo, sul palcoscenico, deludono profondamente. Mancanza di buone scuole? Produzioni troppo frettolose? Attori scritturati senza criterio per ruoli a loro non adeguati? Registi di modesta levatura culturale? Forse tutto questo e molto altro ancora. Ma riascoltare Lavia è stato un grande piacere e mi ha fatto uscire da teatro, una volta tanto, convinto di aver impegnato bene il mio tempo!