Sivini e Cervo, due triestini al Consiglio Regionale

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Claudio Sivini e Claudia Cervo, due artisti e due poli opposti dell’arte a Trieste negli ultimi decenni

di Franco Vecchiet

 

Nello scorso febbraio Claudio Sivini e Claudia Cervo hanno esposto a Trieste, negli spazi del Consiglio Regionale. Si tratta di due artisti triestini molto diversi tra loro, appartenenti a due generazioni diverse, con percorsi diversi e due modi di intendere e di fare arte. In definitiva appartengono a due diversi periodi della storia culturale e artistica della nostra città. L’accostamento del lavoro dei due artisti potremmo pensarlo come il frutto di una scelta casuale. La contrapposizione e il confronto invece rivelano con puntualità nella loro prospettiva dialettica che i due artisti in un certo senso rappresentano due poli opposti dell’arte a Trieste negli ultimi decenni.

 

Claudio Sivini ha frequentato l’Istituto Statale d’arte, quando questa scuola formava ancora i giovani nell’orgoglio e nell’ottimismo di studiare per «l’Arredamento e la Decorazione delle navi». Finiti gli studi, l’arte di Sivini si è sviluppata e affinata con costanza e fermezza con precisi e vincolanti codici visivi e operativi. Nell’arco di quarant’anni l’artista ha costruito un proprio linguaggio in una visione sul mondo ottimistica, funzionale e razionale. Il lavoro di Sivini si ricollega alle correnti dell’arte definite di volta in volta come geometrismo, optical art, arte cinetica, e arte concreta, Mac, e si potrebbe dire che ne fa addirittura parte integrante. Ma a differenza delle correnti d’arte nominate, la pittura di Sivini non è mai completamente astratta. Egli è stato sempre legato anche al paesaggio, il paesaggio urbano della sua città, e non ha voluto mai cedere ad un puro astrattismo.

Potremmo affermare con qualche riserva che l’intero lavoro pittorico di Sivini si basa sullo sguardo dell’artista attraverso una finestra. L’impianto base a griglia, a prima vista ricorda il lavoro di Mondrian. Ma l’artista triestino fa ruotare la griglia ortogonale introducendo angolazioni e libere variazioni assenti nell’opera del maestro olandese. L’ordine di Sivini non è qualcosa di imposto e di sempre uguale, ma va cercato e trovato di volta in volta, è dunque il risultato di un processo di conoscenza, è la ricerca costante di una forma rispondente alla natura delle cose. A questo punto la costruzione stratificata del quadro viene arricchita da una superficie specchiante che diventa l’elemento fondamentale del lavoro. Non si tratta dello specchio come è stato usato da molti artisti del moderno, per esempio da Pistoletto: specchio portatore di inquietudini e di provvisorietà. Nel quadro di Sivini lo spettatore non vede il mondo attraverso la finestra proposta dall’artista, ma vede soltanto la propria immagine rispecchiata e ritagliata dagli elementi compositivi del quadro. L’artista fa notare che ogni piccolo spostamento di chi guarda modifica la visione dell’opera a causa della sua struttura stratificata (effetto tipico della optical art). Ma allo stesso tempo si modifica anche l’immagine che il visitatore riceve di se stesso dall’elemento specchiante (effetto da approfondire forse con un approccio psicologico?). Il percorso dell’arte dell’artista che apparentemente parte dalla complessità per arrivare all’essenzialità, a questo punto si complica di elementi espressivi diversi, di riflessi e allusioni, rendendo l’arte di Sivini senz’altro non facile, costruita su varie stratificazioni, che aprono orizzonti e campi di lettura non previsti.

 

Claudia Cervo, molto più giovane di Sivini, è figlia di un’altra generazione. Come altri artisti della sua età, superato il periodo dell’arte moderna rivolta alla costruzione di un mondo diverso e all’analisi di questo, la giovane artista si è occupata principalmente della figura umana. La composizione dei suoi quadri è essenziale, i tratti sono leggeri, i colori morbidi e pastellati, i materiali non sono quelli del figurativo tradizionale, ma l’artista usa a volte poveri, altre volte materiali diversi, quasi provvisori e apparentemente instabili. La struttura dei suoi lavori è scarna, sobria, leggera, e di grande efficacia comunicativa ed emotiva. Già dagli inizi i lavori di Claudia Cervo hanno sempre espresso con convinzione e sincerità tutta la drammatica insicurezza e provvisorietà di una generazione rimasta quasi orfana e spesso disillusa.

L’artista, come detto, studia e analizza la figura umana. Il linguaggio pittorico che mette in atto è però soltanto un soffio di vento, figure scarne. spogliate da ogni elemento superfluo. A volte sembrano ombre, personaggi dai tratti sfocati, leggeri, non completamente definiti, ma sempre eretti e fermi, irrigiditi nel loro orgoglio. Si ha l’impressione di essere di fronte al mondo di Giacometti, come potrebbe manifestarsi a noi il maestro oggi. Il dialogo della Cervo con le sue figure è sicuramente personale, intimo ed emozionale, nel quale alla fine l’artista cerca la conoscenza di sé, che passa dall’acquisita consapevolezza di essere individuo singolo che tuttavia, nell’allargamento dell’orizzonte, si scopre componente di una comunità dai confini conosciuti ma forse anche imprecisati. Le figure erette ed immobili di Claudia Cervo diventano in questo modo una folla che l’artista nei vari cicli dei suoi lavori cerca di indagare e comprendere. Alla fine, forse per una inevitabile necessità, la folla si trasforma piano piano in una specie di foresta di uomini, persone ordinate, e simili, segno evidente dell’omologazione del mondo d’oggi. In questo modo la Cervo scopre il paesaggio e lo fa entrare nel suo lavoro. Scoprire, capire, aprire porte inattese, rivelazioni possibili è un’avventura continua e anche in questo risiede la modernità dell’artista. La foresta di uomini, forse il simbolo di una moderna alienazione, si trasforma a suo modo in un paesaggio vero e proprio, dove la struttura dei lavori, il disegno e i segni stessi diventano frammenti in equilibrio instabile e indefinibile tra natura e figura, di visoni della natura e allo stesso tempo di frammenti di corpi umani. Claudia Cervo conclude così per ora il cerchio. Un cerchio che si presenta come un meccanismo probabilmente automatico che potrebbe svilupparsi all’infinito, e diventare un “perpetum mobile” nell’universo creativo del suo lavoro.

 

Vi è un dato importante che, nonostante la distanza generazionale e la differenza dei loro linguaggi ed approcci all’arte e potrei dire fondamentale che unisce i due artisti. Si tratta della consapevolezza di entrambi che il nostro tempo, e il nostro lavoro di artisti non è una strada personale o escludente sulla quale corriamo, ma è un compito comune che dobbiamo assolvere secondo le forze e le possibilità di ognuno. Claudio Sivini e Claudia Cervo sono anche insegnanti, operatori culturali, e organizzatori di mostre: l’uno ne ha organizzate circa cinquecento al Caffè Stella Polare, l’altra collabora e organizza da dieci anni le mostre alla Galleria Trart.