Solo per ringraziare

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La bella vita del critico d’arte (parte quarta)

di Giancarlo Pauletto

Nell’autunno del 1978 Lionello Fioretti e Adalberto Leandrin, poeta e pittore il primo, critico d’arte il secondo, avevano allestito alla Sagittaria una mostra retrospettiva di Italo Michieli, artista che fino a quel momento non conoscevo, morto a Savorgnano di San Vito al Tagliamento due anni prima.

Viveva solo, con i gatti randagi che sfamava, e fu ritrovato dopo alcuni giorni dalla morte.

Rimasi impressionato dalla forza lirica e insieme realistica della sua pittura, tanto che, nella recensione alla mostra, mi venne da chiedere come mai fosse stato possibile che un pittore così bravo fosse passato pressoché inosservato per tutta la vita, mentre tanti domenicali vendevano quadri a centinaia di migliaia di lire.

Rispondevo rilevando la precarietà dell’informazione culturale circolante, ma ancora non sapevo che tutta una grande metà dell’arte di Michieli era completamente sconosciuta.

Qualche anno più tardi venni chiamato ad esplorare un grande contenitore pieno di carte ed altro, che era appartenuto al pittore: credo fosse l’imballaggio di un frigorifero, o di qualche altro elettrodomestico.

Gli eredi non sapevano se qualcosa, dentro quel disordine – vecchie fotografie, cartelline contenenti qualche disegno, quaderni scritti, stringhe di scarpe, occhiali rotti e via dicendo – valesse la pena di essere conservato.

Benedetta Provvidenza!

La prima cosa che mi venne in mano fu una fotografia stupenda. Rappresentava una giovane donna che, di notte, ad una fiera, guardava dentro un contenitore circolare illuminato da una fila di lampadine sul bordo e in alto, come uno splendido e inavvertito – ma non dal fotografo – diadema, le luci notturne: il ritratto di una dolce, tenerissima madonna di paese.

La foto si può ritrovare oggi sulla copertina di uno dei quaderni fotografici che Gianfranco Ellero curò, per Ribis editore in Udine, tra gli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso.

Si tratta, per l’esattezza, del quinto quaderno, e per giudicarne l’importanza basta ricordare gli altri quattro, dedicati rispettivamente a Giuliano Borghesan, Carlo Bevilacqua, Italo Zannier, Aldo Beltrame, cioè alcuni dei più importanti autori della fotografia – non solo friulana – del Novecento.

Mi misi ad esplorare quel contenitore con somma curiosità, che non andò affatto delusa.

Oltre ad alcuni disegni tipici della sensibilità nuda e toccante di Michieli, uomo di timidezza quasi patologica, ma ricco di interiorità – e tra essi anche un assai probabile ritratto di Pier Paolo Pasolini, che nel 1984 ho reso noto in un libro intitolato Le fresche immagini. Note divagazioni commozioni per una stagione friulana di pittura e poesia c’erano molte lastre fotografiche risalenti agli anni venti, trenta e quaranta, e poi moltissimi rullini che documentavano, si può dire integralmente, la vita del territorio sanvitese, mentre le lastre si riferivano soprattutto al periodo passato da Michieli prima a Trieste e poi a Capodistria, tra il ’34 e il ’39. Dopo la guerra, che fece da soldato, risalendo la penisola con l’esercito americano, visse a San Vito, usando la fotografia come precario mezzo di sostentamento.

Vagliato il tutto, dissi agli eredi che, a mio parere, il luogo giusto per quei materiali era l’archivio di un Museo o comunque di un ente pubblico, dove essi avrebbero potuto venir conservati e in seguito studiati sia per il loro valore documentario, come per il loro valore estetico, da considerare specificamente.

Gli eredi furono subito, e assai civilmente, d’accordo e quindi il materiale fu donato al Civico Museo Ricchieri, passando poi, attraverso la Provincia di Pordenone, al CRAF di Spilimbergo, che l’ha ora nella sua disponibilità.

Devo dire che sono molto orgoglioso di aver contribuito a questo salvataggio, che colloca Michieli ben dentro la storia della fotografia friulana come dimostrano varie pubblicazioni, e segnatamente la Breve storia della fotografia in Friuli di Gianfranco Ellero, pubblicato dalla Società Filologica Friulana nel 1991.

Nel 1986 avevo curato, con Nico Naldini, il primo catalogo della sua fotografia, Italo Michieli memoria e poesia. Immagini 1923-1970.

Si partiva da foto scattate a sedici, diciassette anni, già ricche di sensibilità rispetto all’attimo e al taglio, si passava attraverso le lastre nitidamente ”costruttiviste” del periodo triestino, si giungeva al netto realismo “quotidiano” del dopoguerra, in cui la dimessa umanità dei paesi della Destra Tagliamento viveva un preciso momento di “rivelazione” poetica, ciò che, in quegli stessi anni, riusciva al Pasolini delle poesie friulane, tanto che – scrivevo alla fine del testo in catalogo – quelle fotografie avrebbero potuto essere la miglior illustrazione de Il sogno di una cosa.

E lo sarebbero anche oggi, se qualcuno volesse tentare la prova.

(4 – continua)

02

Italo Michieli

Dalla finestra dello studio

San Vito 1945-1950

03

Italo Michieli

Trieste 1934-1938

04

Italo Michieli

Natura morta

olio su tela, 1949