Stalker e la stanza dei desideri

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Quali sono i desideri reali, più sotterranei e inconsci, che tutti noi abbiamo? E se li scopriamo, saremo poi in grado di sostenere lo sguardo verso ciò che siamo veramente

di Stefano Crisafulli

 

‘Che cosa voglio?’, si chiede lo Scrittore all’inizio del viaggio che lo porterà nella Zona, un luogo abbandonato dagli esseri umani a causa di qualche non ben definita catastrofe. Ed è forse questa la domanda centrale di uno dei film capolavoro della fantascienza, Stalker, firmato da Andrej Tarkovskij nel 1979. Alcuni hanno voluto vedere in questo film una risposta a 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, ma in realtà non è così, perché le opere di Tarkovskij fanno storia a sé e non possono essere confrontate con quelle di nessun altro regista, così come, del resto quelle di Kubrick.

Stalker, in particolare è un film che ha avuto numerosi tentativi di interpretazione e che, proprio per questo, non finirà mai di sorprendere. Lo stesso Tarkovskij ha scritto nel suo splendido libro Scolpire il tempo: ‘Mi hanno sovente domandato cos’è la Zona, che cosa simboleggia.. Io cado in uno stato di rabbia e disperazione quando sento domande del genere. La Zona, come ogni altra cosa nei miei film non simboleggia nulla: la Zona è la Zona, la Zona è la vita’. La sua riproposizione come ‘oggetto filmico’, tra l’altro recentemente restaurato, al Trieste science+fiction festival 2018, presso il Teatro Miela, un nuvoloso mattino di novembre è sembrata, dunque, più che naturale. E rivedere Stalker (in lingua originale con sottotitoli!) sul grande schermo è stata un’esperienza veramente potente.

Per carpire il fascino del film di Tarkovskij bisogna però, sin da subito, smentire l’autore: è proprio questa sua dichiarata non interpretabilità a rendere la Zona una fucina di possibili ipotesi su cosa sia. Facciamo un passo indietro e vediamo, per sommi capi, la storia. Innanzi tutto del film: tratto da un libro , Pic-nic sul ciglio della strada, dei fratelli Strugackij che hanno anche partecipato alla sceneggiatura, Stalker è stato girato per ben tre volte a causa di danneggiamenti alla pellicola originale. E poi c’è la storia narrata, quella di uno ‘stalker’, ovvero di una ‘guida’ per addentrarsi nei territori proibiti della Zona e raggiungere una miracolosa ‘Stanza dei desideri’, che viene contattato per quest’impresa da uno Scrittore e da uno Scienziato, i cui nomi rimarranno sconosciuti. La famiglia dello stalker vive in una stamberga ai confini della Zona ed è formata dalla moglie e da una figlia che ha perso l’uso delle gambe e ha poteri di telecinesi. È una mutante, come la maggior parte dei bambini che nascono attorno alla Zona. Con lo Scrittore e lo Scienziato, si trovano in un bar sul limitare della Zona, poco prima di intraprendere il viaggio. Entrati nella Zona, in modo piuttosto spericolato, si passerà dal bianco e nero al colore, come se la Zona fosse un mondo altro e migliore rispetto a quello normale, quotidiano. Di certo è un luogo misterioso, inquietante, privo di esseri umani e pieno di acquitrini e di vegetazione incolta, che, secondo lo Stalker, ha delle regole particolari: ad esempio va rispettato, quindi non si può bere alcolici o canticchiare e, inoltre, non si può seguire una strada diversa da quella indicata dallo stesso Stalker per mezzo del lancio di dadi metallici legati a nastri di stoffa, poiché si rischia di perdersi o di sparire per sempre. Quando infine, tra momenti di tensione, paesaggi con rovine, strani rumori o versi di animali, discorsi sul valore dell’arte e della scienza e il passaggio dentro un tunnel soprannominato non a caso ‘tritacarne’, i tre arriveranno nei pressi della Stanza dei desideri, nessuno vi entrerà per davvero. Anche perché quella Stanza non realizza i desideri più superficiali e consapevoli, ma, com’è successo ad un altro stalker chiamato ‘Porcospino’, quelli più profondi e inconsci. Il ‘Porcospino’ era andato nella Stanza chiedendo di poter far tornare in vita il fratello morto e ne era uscito pieno di soldi: per questo si era impiccato.

A questo punto si capisce bene perché la domanda ‘Che cosa voglio?’ citata nell’incipit sia centrale. Quali sono i desideri reali, più sotterranei e inconsci, che tutti noi abbiamo? E se li scopriamo, saremo poi in grado di sostenere lo sguardo verso ciò che siamo veramente, verso la nostra parte di ‘ombra’ (intesa in senso junghiano come la parte che rifiutiamo di noi stessi)? Come afferma Tarkovskij, lo Scrittore e lo Scienziato ‘Non trovano forze morali per credere in sé stessi, ma ne hanno a sufficienza per guardare dentro di sé e ne rimangono atterriti’. Eppure il regista russo offre un barlume di speranza a chi guarda il film: ‘Se l’uomo resisterà (alla zona e quindi alla vita, n.d.r.) dipende dal sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero’.