Storia di Argo

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Il dramma dell’esodo nell’attesa vana di un cane

 

Ha l’apparenza di un librino di poesie, poche pagine in sedicesimo, una copertina cartonata, elegante, con l’immagine del muso inconfondibile di un bel pastore tedesco, le orecchie diritte, il capo solo un poco piegato di lato, lo sguardo intelligente e interrogante; in alto, in grigio, in minuscolo, il nome immortale di un cane che Omero ci descrive nel suo punto di morte, coi deboli segni di riconoscimento rivolti al padrone che torna sotto mentite spoglie alla sua reggia di Itaca. È uno degli episodi più toccanti dell’Odissea, ma che cosa ci fa Argo in questo librino?

Bisogna aprirlo, e ci si accorge subito che non si tratta di un libro di poesie: è scritto in prosa, una prosa piana e discorsiva, sotto la cui apparente semplicità s’intravede però l’ordito di una cultura salda e raffinata, anche – se si vuole – erudita, ma che s’ingegna a non far trasparire questo sostrato, per lasciare spazio a un’urgenza di comunicazione che vada al fondo di sé, che restituisca il sapore fresco e frammentario di una memoria infantile, ormai lontana nel tempo, che s’indovina però custodita come un bene prezioso, un filo d’Arianna esile, che a nessun costo dev’essere reciso, pena lo smarrimento nel labirinto della vita. E la vita è quella dell’Autrice, Maria Grazia Ciani, insigne grecista, docente a Padova, traduttrice tra l’altro di entrambi i poemi di Omero, curatrice di un’interessante collana della Marsilio, “Variazioni sul mito”, dedicata alla nascita e alle successive rinascite nelle letterature europee dei miti più antichi.

Qualche settimana fa chi scrive, dovendo per altri scopi redigere una scheda biobibliografica della Ciani, ha scoperto che è nata a Pola, e che ha dovuto lasciare la città con la prima ondata dell’esodo che ha reso quasi deserta la località istriana, nel 1945. Lei aveva allora cinque anni, e mi sono chiesto cosa potesse contare quell’appartenenza territoriale, cosa ne sia rimasto nella ragazza e poi nella donna che sull’altra sponda dell’Adriatico si è formata e poi ha elargito agli altri con generosa dovizia i frutti di quella sua cultura faticosamente acquisita. La risposta mi è venuta dall’individuazione, nella bibliografia, di questa Storia di Argo, il librino che mi sono procurato subito, per saziare la mia curiosità.

Quanto mi sono trovato a leggere è, insieme, un libro di memorie, un’opera di storia, un breve saggio sull’episodio di Argo nel XVII libro dell’Odissea, un’autobiografia essenziale. È, prima di tutto, una storia d’amore, dacché non si può definire soltanto amicizia il rapporto di una bambina con il suo cane.

La Ciani ci chiama dentro la sua storia fin dalle prime righe, dipinte a rapide pennellate, come un acquerello che occupi una minima parte del foglio bianco sul quale si sviluppa. Una tecnica narrativa di grande effetto, perché ripercorre i meccanismi descrittivi della memoria, che, segnatamente per quella che riguarda i primi anni di vita, procede tramite la messa a fuoco di minuti dettagli, all’apparenza inessenziali e scollegati tra loro, cui saranno poi la logica e l’esperienza ad assumersi il compito di raccordarli tra essi a formare un quadro plausibile e più completo. Se posso osare, è il contrario di quanto afferma Claudio Magris nella sua postfazione: si tratta di una tecnica “per addizione”, con la quale l’Autrice, attingendo dalla memoria più remota, porta uno a uno i mattoncini necessari a costruire l’edificio della sua narrazione. Siamo all’opposto della tecnica scultorea michelangiolesca descritta dal Vasari, secondo la quale il Buonarroti indovinava la forma celata nel marmo e la faceva uscire “per sottrazione”, togliendo cioè la materia che l’avvolgeva e la imprigionava (Magris cita invece Mauro Corona, ma è lo stesso).

La storia comincia da quanto la incornicia, la descrizione, per sommi capi, si capisce, del paese istriano che vedrà srotolarsi l’azione: architetture spontanee, muretti a secco, organizzazione urbanistica casuale e tuttavia organizzata. Il luogo, sapremo alla fine del libro, si chiama Gallesano, ed è in effetti una frazione di Dignano d’Istria, pochi chilometri a nord di Pola, dov’era all’epoca la casa di campagna dei nonni. La famiglia s’era trasferita lì da Pola per evitare i bombardamenti e gli altri pericoli e ristrettezze causati dalla guerra. Anche la descrizione della casa dei nonni procede per rapide parziali istantanee, quasi tutte esterne ai locali: una grande scala che porta a un’ampia terrazza e, dell’interno, soltanto un tavolo di soggiorno in stile Ottocento su un tappeto anch’esso grande, come la scala e la terrazza, forse perché agli occhi di un bambino tutto appare di dimensioni maggiori di quanto sia in realtà. Come del resto non ricorda giornate di pioggia o stagioni diverse dall’estate: dalla memoria tutto le ritorna solare, luminoso e caldo.

Niente è narrato delle altre presenze umane che pure, sicuramente l’avranno circondata. La condizione naturale di quella bambina è la solitudine e il silenzio, che tuttavia hanno termine d’improvviso quando, in visita alla casa di un fattore, Mate, le viene donato un cucciolo di pastore tedesco, che la piccola si porta a casa tenendoselo in grembo, raggomitolato all’interno di un suo cappellino da sole chiaro. “Ricordo che nessuno dei due si mosse durante il breve viaggio. La trasmissione dell’amore fu immediata e muta. Abolite le persone, sbiadito ogni altro affetto, fummo, da allora, una coppia”.

È l’inizio di una breve stagione d’amore intenso tra la piccola e York: “ il legame che si creò tra la bambina e il cucciolo fu di amore puro e di dedizione totale. Il rapporto che unisce i deboli, pieno di timore, rassegnato fin dall’inizio. Tuttavia, assoluto”.

La storia, troppo breve, di quella convivenza ebbe momenti di ostinata condivisione, ad esempio quando York fu messo alla catena, perché in campagna gli animali sono tenuti solo se di qualche utilità, e lui era un cane da guardia. Ciò non mutò il rapporto tra l’animale e la bambina: era lei che curava che fosse opportunamente alimentato, che non rimanesse intorbidata l’acqua nella sua ciotola. Alla catena York non si ribellò, e nemmeno la bimba: “tutto sembra inghiottito in un silenzio presago”.

Fino al suo drammatico compimento, la storia è vissuta in silenzio, fatta di sguardi e di piccole attenzioni tra i due, salvo qualche singolo episodio, uno addirittura eroico, quando, nella casa parzialmente requisita dai militari tedeschi, avendo il cane leggermente ferito alla mano un soldato, la bambina, temendo un esito fatale al suo cane, si armò di un coltello per prepararsi a una difesa disperata, che si rivelò poi non necessaria. Via i tedeschi, è la volta degli slavi, introdotti nel nostro libro da un passo di Slataper. Incomprensibile la lingua, incomprensibile tutto il resto per la bambina, che alla fine si ritrova, in una notte, tenuta per mano, a doversene andare con gli altri, furtivamente. L’ultima cosa che le resta di York è “un rumore leggero, come di chi sa e non vuole farsi sentire. Oppure esita, incredulo, sospettando la partenza e iniziando la lunga, fiduciosa attesa dei cani che non concepiscono il tradimento e l’abbandono. E per ciò aspettano fino alla morte”.

Finisce qui la storia, ma il libro procede, per narrare di come la bambina di allora, la grecista insigne di oggi, abbia tentato di esorcizzare quell’acuminata separazione, con gli strumenti della cultura in seguito acquisita, con la rilettura dell’episodio di Argo nel “suo” Omero, con le citazioni, del tutto opportune, di altri libri, oltre al Mio Carso e all’Odissea, libri che fanno parte di quello che oggi è Maria Grazia Ciani, che ritrova se stessa tanto nelle esperienze personalmente vissute che in quelle fatte proprie dalle letture.

Il piccolo volumetto che pare un librino di poesie, si rivela alla fine proprio quello che sembra, un libro di autentica poesia, in grado di raccontare, assieme alla piccola storia di un cane e di una bimba, un dramma sociale costituito da centinaia di migliaia di drammi personali, di una popolazione costretta da una Storia come sempre impassibile a tagliare il cordone ombelicale con luoghi e affetti. Per la Ciani, tutt’intero quel dramma è contenuto nel rumore di una catena strascicata per terra che separa in due parti la sua vita, che la separa dal suo Argo. “È un rumore sottile come una lama che incide con cautela, ma su carne viva”.

 

Walter Chiereghin

 

 

Maria Grazia Ciani

Storia di Argo

Marsilio, Venezia 2006

  1. 77, euro 9,00