Sulle orme di quelli della Osoppo

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I signori della notte: un libro di Fabio Marson

di Luisella Pacco

 

I partigiani salivano in montagna. Chi non l’ha sentito dire, almeno una volta?

Poi, come davanti a tutte le cose, c’è chi si accontenta della frase fatta senza porsi ulteriori domande, e c’è chi vuol andare più a fondo. O più in alto, in questo caso, e in montagna ci va sul serio. Per ripercorrere, vedere, capire, muovere le gambe sugli stessi sentieri, annusare la storia, minuscola e maiuscola.

È ciò che ha fatto Fabio Marson, giovane autore nato a Trieste nel 1985, che ora vive e lavora a Roma. Lo conoscevo per Calci in bocca alla romana, una raccolta di racconti-aneddoto sulle tante cose osservate nei suoi spostamenti su treni aerei metropolitane e bus. Una lettura piacevole e nel complesso leggera.

Lo ritrovo ora, con un’opera che leggera non è: I signori della notte.

Non è un libro di storia (Marson non è uno storico e non vuol farsi passare per tale; è un narratore). È il reportage di un viaggio sulle montagne friulane. Un viaggio lento, amorevole, pieno di attenzione e di misericordia verso i fantasmi, a piedi tra paesini abbandonati, malghe, casere. Luoghi che un tempo sono stati frequentati dai protagonisti della Resistenza e che oggi giacciono come ruderi e ombre. Che cosa è rimasto di quelle voci, di quei passi?

Per l’esergo, Marson sceglie parole di Pietro Calamandrei: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati».

Bisogna andare, dunque. Fabio Marson lo fa, in compagnia dell’amico fotografo Fabrizio Palombieri. Zaino in spalla, buone scarpe, curiosità, rispetto e lucida pazienza.

Eppure, il primo intento (lo racconta l’autore stesso nell’introduzione) non era di scrivere un libro, bensì un semplice articolo.

Per questo alzo il telefono e chiamo un amico che lavora per una rivista. Gli dico «Che ne dici di un articolo che parli dei luoghi della Resistenza in Friuli oggi?» e lui mi risponde «Perché no?». Così apro i libri. Telefono a questo e a quello, faccio le prime interviste, scorro il dito sulle mappe e rispolvero un po’ di memorie altrui. E quando ho raccolto abbastanza materiale per l’articolo, squilla il telefono. È il mio amico. «Mi dispiace ma non te lo possiamo pubblicare» mi dice «Qui non vogliono si parli di politica». «Non è politica, è Storia. Storia e montagna» mi difendo io. Il mio amico non può farci niente, è solo un redattore, e io mi trovo tra le mani un plico di fogli zeppi di appunti che odorano di polvere da sparo, sangue, vino e sudore. Gli odori del Friuli. Se qualcuno si spaventa ancora oggi per i partigiani di ieri, penso, significa che è una storia che merita di essere raccontata. […] Se non posso scrivere un articolo, ebbene, scriverò un libro.

Marson parte per il suo viaggio. Dopo essersi preparato bene e aver letto molto, occorre andare sui luoghi e incontrare le persone. Il primo appuntamento è a Valvasone.

Per le strade di Valvasone non c’è un’anima. Un sole bollente allaga le vie, mi schiaccio contro il muro per guadagnare l’unica striscia d’ombra disponibile, controllo l’indirizzo che ho appuntato su un foglietto di carta stropicciato. Cesare Marzona mi apre la porta di casa e mi fa cenno di entrare. Ci siamo sentiti solo una volta al telefono e, con tutta la fiducia del mondo, mi dedicherà due ore del suo tempo. Il suo studio è al buio e conserva un fresco naturale. Cesare è il primo partigiano che incontro in vita mia. 90 anni dimostrati solo con una lieve incurvatura della schiena, passa davanti a un plotone di medaglie cui non sembra dare più bado. «Cosa vuoi sapere della Osoppo?».

Riferire solo delle Brigate Osoppo è una scelta che Marson compie perché lo incuriosisce la sua composizione mista di cattolici, socialisti, liberali, e perché ritiene che siano le meno conosciute, le meno raccontate, imprigionate esclusivamente dentro la tragedia di Porzûs. E comunque restringere il campo era necessario (parlare di tutti i luoghi della Resistenza sarebbe stato impensabile).

Tra i tantissimi volti che emergono da questo libro, c’è anche quello di Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo. “L’altro Pasolini”. Per fare ricerche su di lui, Marson si rivolge anche al Centro Studi di Casarsa della Delizia dove incontra l’allora direttrice Angela Felice. Le righe che la riguardano sono preziose, un’ulteriore testimonianza della cortesia e della disponibilità di cui tutti hanno parlato nel momento della prematura scomparsa, nel maggio 2018.

I due fratelli erano parecchio diversi l’uno dall’altro: mentre Pier Paolo, il maggiore, teneva lezioni e scriveva poesie, Guido, il minore, montava in sella alla bicicletta per affrontare il mondo; mentre il primo studiava e si faceva un nome tra intellettuali e letterati della zona, l’altro costruiva arnesi da pesca e si esercitava con una carabina ad aria compressa, comprata a Bologna presso un baraccone di tiro a segno. Uno dentro, l’altro fuori. Uno figlio di sua madre, l’altro figlio di suo padre.

Guido Pasolini, nella Osoppo, è “Ermes”. Marson ne racconta gli ultimi drammatici giorni. L’8 febbraio 1945 i prigionieri osovani vengono condotti da qualche parte a Bosco Romagno. Guido, appena fiutata una possibilità di fuga, la afferra al volo. “Ermes” si divincola dagli arbusti di Bosco Romagno e scappa il più lontano possibile. […] Alle calcagna ha uomini armati che sparano a vista, lui continua nella sua corsa, le ali ai piedi, probabilmente è denutrito, sicuramente è stremato. […] “Ermes” è scoperto, forse per questo viene raggiunto dalle pallottole dei suoi cacciatori. È ferito, ma non demorde: gira i tacchi e riprende la fuga […] Bussa alla porta di Libera Piani, anziana donna di Dolegnano, frazione di San Giovanni al Natisone, in condizioni terribili. “Ermes” ha percorso a piedi almeno una decina di chilometri, la maggior parte dei quali tamponando il sangue dalle ferite, e ora è arrivato al capolinea. Proseguire ancora non è fisicamente possibile. La donna accoglie in casa il fuggiasco, non ha molto da dargli e gli offre un po’ di grappa e caffellatte. […] È probabilmente con tutta la buona volontà che si rivolge all’ostetrica di paese, la professione che più si avvicina al mestiere di medico. Se non altro, lei saprà che fare o, per lo meno, chi chiamare: è una donna della Resistenza. L’anziana, però, non sa che l’ostetrica è sì la figlia di un partigiano, ma di un gappista del Battaglione “Ardito”, proprio uno di quelli implicati nella strage. […] Ormai non c’è più nulla da fare. Guido Pasolini viene ricondotto davanti alla fossa già scavata. Una volta sdraiato dentro, avviene l’esecuzione.

A novembre aveva scritto l’ultima lettera al fratello. La lettera sarebbe arrivata alla famiglia appena a febbraio, ironia della sorte proprio quando si stava compiendo l’eccidio. Il funerale sarà celebrato a Cividale appena il 21 giugno e la salma di Guido tumulata a Casarsa nello stesso cimitero dove, 30 anni dopo, verrà sepolto anche Pier Paolo. Guido assieme ad altri combattenti, Pier Paolo accanto alla madre; in sostanza, la scelta che avevano compiuto quando compiere una scelta era diventato inevitabile.

Perché scrivere questo libro? Perché leggerlo? Perché ancora oggi, come è stato detto a Fabio Marson da quella rivista (“qui non vogliono che si parli di politica”) e come purtroppo accade e accadrà anche altrove, parlare di partigiani disturba, ha un colore, uno stemma di partito, un odore che piace a qualcuno e a qualcun altro no. E questo non va bene.

Si tratta della Storia del nostro paese, si tratta di Memoria, che va difesa, narrata, ripercorsa a piedi e col cuore. Senza memoria, cosa saremmo? Cosa saremo?

Compiere una scelta (parlare o tacere, scrivere o lasciar perdere) in fondo anche adesso è – o dovrebbe essere – inevitabile.

 

 

Fabio Marson

I signori della notte. Partigiani della Osoppo.

Storie di Resistenza tra sentieri e casere

Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 2018

  1. 206, euro 12,00