Tintoretto 500

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La Presentazione di Maria al Tempio nella chiesa della Madonna dell’orto a Venezia

di Nadia Danelon

 

“Un’opera finita e la meglio condotta e più lieta pittura che sia in quel luogo”: con queste parole, nel 1568, Giorgio Vasari descrive la Presentazione di Maria al tempio di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1519-1594). L’analisi di quest’opera, tra le più rappresentative nella carriera del celebre pittore veneziano, vuole essere un omaggio alla memoria dell’artista: di recente, la città di Venezia ha ospitato alcune mostre in occasione dei cinquecento anni dalla nascita del pittore, avvenuta presumibilmente a cavallo tra il 1518 e il 1519. La Presentazione realizzata per la chiesa veneziana della Madonna dell’Orto, cara all’artista per via della vicinanza alla sua casa-studio, si colloca in un momento fondamentale strettamente legato alla vita privata del Tintoretto. Per questo motivo, vale la pena di riassumere in questo contesto gli episodi legati al criticato matrimonio dell’artista. La vicenda ha inizio nel 1547, con la circostanza della commissione della tela raffigurante il Miracolo di San Marco per l’omonima Scuola Grande (oggi l’opera è conservata alle Gallerie dell’Accademia): non a caso, il Ridolfi insinua che la scelta dell’artista designato viene compiuta “…essendo alcuni de’ Governatori della Confraternita congiunti al Tintoretto”. Il commento fa riferimento a Marco Episcopi (o de’ Vescovi, secondo De Vecchi), nato nel 1510-11, inizialmente decano (1536) e poi “guardian grande” della Scuola (1547). Questo personaggio di spicco, del quale Krischel (2000) ha pubblicato il frontespizio del “libro ufficiale” nella sua monografia dedicata al Tintoretto (dove si nota il blasone comprensivo di un busto vescovile), tre anni più tardi diviene il suocero del pittore: nel 1550 è infatti documentato il matrimonio di Jacopo Robusti con la giovanissima Faustina Episcopi. Il grande prestigio della famiglia d’origine della moglie di Tintoretto genera critiche nei confronti di questa unione, avvalorate dall’evidente differenza d’età tra i due sposi (ben quindici anni). Il nonno di Faustina, tale Pietro Episcopi, è ricordato nel suo ruolo di proprietario della farmacia “dell’unicorno” di Campo Santo Stefano (all’angolo con la Calle del Spezier). L’attività di vendita dei colori svolta da Pietro in qualità di speziere, ha fatto ipotizzare a Krischel la sussistenza di contatti tra la famiglia di Faustina e il Tintoretto già da molto tempo prima del matrimonio. Nel 1556 nasce Marietta, figlia primogenita del pittore: in quello stesso anno è documentato l’ultimo pagamento relativo alle portelle d’organo per la chiesa della Madonna dell’Orto, decorate all’esterno dalla celebre Presentazione della Vergine al Tempio. Nell’analisi della tematica affrontata, considerando la lieta circostanza della nascita della figlioletta, gli studiosi hanno voluto evidenziare lo stretto legame tra il soggetto raffigurato e il nome scelto per la piccola (Maria). Tuttavia, non si tratta dell’unica coincidenza legata a questa commissione: le fonti ci documentano un primo accordo relativo alle portelle già nel 1548, per un pagamento comprensivo di una botte di vino, due staia di farina e cinque ducati d’oro (De Vecchi, 1970). Successivamente, nel 1551, Tintoretto sottoscrive un accordo per la medesima commissione che prevede l’aggiunta di ulteriori trenta ducati al compenso già concordato: gli viene chiesto di decorare le due portelle “con una presentazione di nostra Donna de fora, e dentro due figure”. Scartando l’entusiastico commento della Salinger (1964) che loda la rapidità di esecuzione del Tintoretto, ritenendo le tele già completate molto tempo prima dell’ultimo pagamento, scopriamo le circostanze di una opportuna sollecitazione alla consegna delle portelle: nel 1555, Marco Episcopi acquista un sepolcro nella navata centrale della Madonna dell’Orto. Non stupisce quindi l’urgenza per la consegna delle tele, in grande ritardo rispetto alla data ufficiale (il contratto del 6 novembre 1551 auspica l’installazione delle portelle entro il 27 aprile 1552, domenica di Pasqua): il prezioso organo risulta collocato vicino al coro (tra la navata centrale e quella di destra) fino alla sua distruzione avvenuta nel XIX secolo, a breve distanza dal sepolcro del suocero. Quindi, questa prima commissione per la chiesa della Madonna dell’Orto (seguita poi dall’ Adorazione del vitello d’oro e dal Giudizio universale), è strettamente legata a quello che con il passare del tempo diventa il luogo di sepoltura dell’intera famiglia: nell’ordine, vengono tumulati presso la chiesa Marco Episcopi (1571), Marietta Robusti (1590; morta in giovane età, come ricordato da Ridolfi con una piccola imprecisione relativa alla data di nascita: “…nella più fiorita età invida morte la tolse di vita d’anni trenta…”), lo stesso Tintoretto (1594), sua moglie Faustina (1621) e Domenico Robusti (1635; pittore come la sfortunata sorella, erede della bottega paterna). Come è stato sottolineato da Gentili (2006), la grande novità legata alla Presentazione di Maria al tempio del Tintoretto è costituita dall’insolita composizione, che abbandona la consolidata struttura orizzontale tipica di questo soggetto. Molto è stato scritto riguardo a quest’opera conservata ancora nella chiesa veneziana, suddivisa originariamente in due tele (corrispondenti alle portelle) successivamente cucite insieme. Tra i commenti più suggestivi, va senz’altro annoverata la complessa analisi del Krischel (2000) che nella strana disposizione della gonna della bambina in piedi alla base della scalinata e nella chiave del Cielo esibita da san Pietro (soggetto della tela già posizionata all’interno della portella sinistra) vede dei riferimenti erotici che, nel secondo caso, sembrano strizzare l’occhio all’insofferenza di molti veneziani contemporanei di Tintoretto nei confronti delle direttive programmatiche finalizzate a una fede assoluta nei confronti del pontefice. Fa sorridere, tuttavia, un riferimento riportato dallo studioso relativo al commento di Johann Georg Keyssler (1751) a seguito di una fantasiosa visita guidata presso la chiesa della Madonna dell’Orto: “L’organo è dipinto da Tintoretto e precisamente per punizione perché egli in una casa nobile presso cui si tratteneva, aveva sedotto una domestica”. Sono altrettanto interessanti le riflessioni relative al preciso numero di gradini (ben quindici) della scalinata del tempio, che la piccola Maria sale con disinvoltura. Lo stesso Krischel sottolinea la corrispondenza numerica tra i gradini e i quindici salmi graduali intonati un tempo come canti per il pellegrinaggio al tempio. Il medesimo studioso ricorda però anche l’ampiezza della rampa più bassa della Scala dei Giganti del cortile di Palazzo Ducale, la stessa di quella raffigurata nel dipinto: questo secondo spunto di riflessione si riallaccia ad alcune circostanze ufficiali che “volutamente” finiscono per accomunare la figura del Gran Sacerdote che accoglie Maria a quella del Doge nell’occasione delle visite di personaggi di spicco. Krischel evidenzia l’affinità delle due figure sottolineata tanto dalla medesima posizione cerimoniosa (Tintoretto, nel raffigurare il Gran Sacerdote, sceglie di collocare il personaggio nel luogo in cui il Doge tradizionalmente accoglie gli ospiti illustri) quanto dalla presenza di una quasi invisibile ma allo stesso tempo significativa parte del vestiario che incornicia il capo di entrambe le figure: si tratta della “rensa”, una sorta di cuffia bianca sottile comprensiva di lunghi nastri, posizionata tradizionalmente sotto il Corno dogale e qui riproposta sotto lo sfarzoso copricapo del Sacerdote. La luce, come tipico nella produzione artistica del Tintoretto, gioca anche in questo caso un ruolo fondamentale: ad esempio, la metà sinistra dell’opera (corrispondente alla singola portella) è vivacizzata da una particolare giustapposizione delle zone luminose. Il bagliore dorato della decorazione dei gradini contribuisce a creare un’atmosfera suggestiva che fa da sfondo alle figure dei due dignitari raffigurati di lato (Gentili, 2006) palesemente insospettiti da quella disinvolta figura di bambina che sta raggiungendo da sola l’ingresso del tempio: al contrario, il vecchio profeta in primo piano esce teatralmente dall’ombra, dimostrandosi in grado di comprendere l’importanza di quanto sta accadendo. L’episodio, come ricordato dallo stesso Gentili, si colloca alla soglia tra il mondo ebraico e quello cristiano: secondo lo studioso, Maria riesce inoltre ad ispirare la madre in piedi al centro del dipinto (la stessa della fanciulla vestita, secondo Krischel, in modo provocatorio), che guida la figlia attraverso la scalinata indicando la Vergine. Al contrario, Gentili nota come la madre e la figlia adagiate sui gradini siano del tutto disinteressate rispetto a quanto sta avvenendo: non manca però di evidenziare la presenza della giovane donna in piedi con il suo bambino tra le braccia, che sembra incitare Maria nel proseguire la salita verso l’ingresso dell’edificio. Come giustamente ricordato da Krischel (2000), lo scopo di Maria è quello di unirsi al gruppo delle donne del tempio, che effettivamente affiancano la figura del Gran Sacerdote: tuttavia, ancora una volta Gentili (2006) ritiene di poter riconoscere nelle due figure femminili le allegorie della “Ecclesia ex circumcisione” e della “Ecclesia ex gentibus”. Una contrapposizione, secondo lo studioso, ricompare anche nel lato interno delle portelle, suddiviso in due scene: l’Apparizione della croce a san Pietro e la Decollazione di san Paolo. A sinistra c’è Pietro, pastore e primo sacerdote: a destra c’è Paolo, predicatore e soldato. Queste ultime due tele, conservate a loro volta presso la chiesa della Madonna dell’Orto anche dopo lo smantellamento della collocazione originale, presentano altri dettagli significativi: Coletti le ritiene successive rispetto al dipinto frontale “specialmente per la realizzazione pittorica pronta e larga, in un colorismo più ricco e vivace”. Come giustamente sottolineato dagli studiosi, la posa di Pietro sembra derivare dal medesimo disegno al quale fa anche riferimento la figura femminile de La principessa, san Giorgio e san Luigi (1553), ora alle Gallerie dell’Accademia. Nella disposizione degli angeli che reggono la croce della stessa tela si è voluto riconoscere un riferimento al Giudizio Universale di Michelangelo. Alcuni studiosi ipotizzano anche l’utilizzo dello stesso modello plastico per i due angeli speculari. L’analisi della Decollazione di san Paolo ha invece presentato, nel tempo, alcuni dubbi relativi al soggetto magistralmente riassunti da De Vecchi (1970): lo studioso infatti ricorda come dalla critica antica e moderna il soggetto sia talvolta identificato come una rappresentazione del Martirio di san Cristoforo, con riferimento alla vera intitolazione della chiesa della Madonna dell’Orto. Tra gli elementi più suggestivi dell’opera c’è l’armatura pomposa, collocata tra il carnefice con la lunga spada sguainata e il santo in preghiera, pronto ad accogliere la corona d’alloro e la palma del martirio esibiti dall’angelo in volo.