Traumi del nostro secolo breve

| | |

Un volume di saggi che indaga la produzione letteraria italiana del Novecento indagata in quanto narrazione degli snodi storici del secolo

di Fulvio Senardi

 

Il corposo volume che raccoglie gli atti di un convegno parigino del 2018, Dire i traumi dell’Italia del Novecento (Dire i traumi dell’Italia del Novecento. Dall’esperienza alla creazione letteraria e artistica, pp. 382, Franco Cesati editore, 2020, € 35), a cura di una squadra tutta femminile di studiose francesi e italiane (Maria Pia De Paulis, l’animatrice del progetto, Viviana Agostini-Ouafi, Sarah Amrani, Brigitte Le Gouez), oltre alla specifica portata critico-letteraria acquista, a terzo millennio iniziato, un particolare valore epocale. Da qui la doppia ragione di interesse di questo libro: tanto per la qualità dei contributi che lo compongono, venti in tutto, a coprire un ampio ventaglio tematico, quanto per la prospettiva generale che il volume suggerisce; è, per dire più chiaramente, come se annunciasse la fine dell’era dei testimoni (così Annette Wieviorka), almeno per quanto riguarda gli eventi catastrofici di maggior portata collettiva che hanno segnato l’Italia nel corso del Novecento, il cupo rovescio della medaglia del secolo più “emancipatorio” di ogni altro: la Grande guerra e il secondo conflitto con il corollario della persecuzione razziale e lo sterminio di ebrei, rom, sinti, jenisch, ecc.

È dunque sul margine estremo del “secolo breve” e sullo sfondo di un continente insanguinato ma, nei Paesi più avanzati, ampiamente alfabetizzato (l’Italia resta un passo indietro), che la parola rompe le dighe del silenzio e dà testimonianza dell’orrore, la cui “trasparente densità” è tematizzabile solo da parte di coloro che “sapranno fare della loro testimonianza un oggetto artistico, un ambito di creazione” (qui e in precedenza ho ceduto la parola a Jorge Semprun, uno degli intellettuali cui Maria Pia De Paulis fa appello, in esergo, per un primo chiarimento quanto a forme e orizzonti della scrittura testimoniale); aggiungendo, sempre lo scrittore spagnolo: «solo l’artificio di una narrazione ben padroneggiata riuscirà a trasmettere, in parte, la verità della testimonianza». Si tratta di un postulato in apparenza sconcertante, che rimodula il paradosso del ‘fingidor’ di Pessoa, con un più marcato accento tragico, coerente con la sofferenza incisa nel corpo di chi ha sfiorato l’esperienza della morte: solo il nesso finzione-verità può rendere transitiva la sostanza del trauma, che dev’essere “parlato”, per divenire patrimonio comune, superando quella barriera rappresentata dal silenzio o dall’urlo.

Appare evidente che un primo passo per comprendere funzione e modalità espressive del trauma, che si esplicita e si scioglie nella letteratura memoriale, sia quello di collegare espressione letteraria e saperi medici sul versante più pertinente della riflessione psicoanalitica a partire dalle ipotesi in materia formulate da Freud e poi da Ferenczi fino alle più recenti rielaborazioni di Paul Russel, Marc Amfreville, Jean-Michel Ganteau, Patrizia Violi, ecc. Un compito che si è assunta Maria Pia De Paulis nel saggio introduttivo, che esplora e fornisce «le linee di forza teoriche ed ermeneutiche che consent[ono] una lettura coerente ed una visione globale delle sezioni del volume» (p. 25). Pagine dense e lucide che non nascondono peraltro l’aspetto problematico della scrittura memoriale: seguendo Corinne Chaput-Le Bars, De Paulis richiama l’attenzione sul fatto che «ogni racconto retrospettivo pone la questione della sua verità: esso può comportare distorsioni mnesiche, una lingua alterata dallo scarto tra ricordo e affabulazione, allucinazioni, dimenticanze, recuperi frammentari» (p. 47). Una problematicità destinata ad accentuarsi nel passaggio dall’era del testimone all’epoca della post-memoria (postmemory, secondo la definizione di Marianne Hirsch della Columbia University): nella conservazione del bagaglio memoriale per via di identificazione ed empatia attraverso linee di forza familiari Hirsch individua la possibilità della perpetuazione e trasmissione di un trauma originario di portata storica e collettiva, come per esempio quello dei Lager. Messa a fuoco che lascia però ai margini un intreccio rovente di questioni: tanto la natura sempre più spuria e complessa di una traccia che affievolendosi sfocia tuttavia in scrittura memorialistica, quanto la sempre maggiore incidenza dentro i registri del ricordo (fino a possibili falsificazioni) di istanze extra-traumatiche di portata collettiva e di natura politico-ideologica e culturale in senso lato (il tema delle ricerche dei coniugi Assmann, a partire dalle intuizioni di Maurice Halbwachs).

È una nuova stagione che si annuncia (come chiarisce nel saggio conclusivo Brigitte Le Gouez), e che richiederà particolare vigilanza da parte degli studiosi, per non cedere ad alcun ricatto etico-sentimentale (utile segnale d’allarme il provocatorio Critica della vittima di Daniele Giglioli) ed evitare prevedibili strumentalizzazioni politiche (lo si può già avvertire a proposito del tema dell’Esodo istriano). Detto questo, sarà opportuno dare un rapido sguardo alle quattro sezioni del libro, pur senza entrare nello specifico di ciascun saggio. La prima, com’era da attendersi, è dedicata alla Grande Guerra, un’esperienza traumatica di massa che inaugura con brutalità il Novecento, allargando in modo macrosopico, nei soldati coinvolti in un conflitto che in gran parte risparmiò le popolazioni civili (con una drammatica coda pandemica, però, la “spagnola”, del tutto oscurata dall’ecatombe militare che l’ha preceduta), lo iato tra esperienza attesa ed esperienza vissuta, una sfasatura che si è riverberata negli imbarazzi e nelle reticenze di scritture che in un primo tempo privilegiano, quasi senza eccezioni, l’esito diaristico, quasi a rifiutare, per amore di verità, la libera affabulazione della forma-romanzo. La seconda sezione è dedicata invece alle Scritture-testimonianza. Il trauma del fascismo e della seconda guerra mondiale, con due contributi che si occupano di Primo Levi (al centro anche di un saggio della quarta sezione), che ha assunto, nel sentire comune, la statura del “testimone” per eccellenza dell’evento che ha segnato il secolo scorso con un marchio di orrore insostenibile e, per un lungo lasso di tempo, indicibile: il progetto genocidario della Germania nazista, un evento che, come nessun altro, ha interpellato l’Uomo, suscitando categorie interpretative (storiche, filosofiche ma pure giuridiche) fino ad allora ignote. È proprio in Levi, del resto, che si rintracciano, nella loro forma più esplicita potremo dire, tutte le caratteristiche di quelle scritture post-traumatiche che hanno avuto il coraggio della memoria: sia il senso di responsabilità etica che spinge alla testimonianza che il senso di colpa che tormenta il sopravvissuto (i due poli di una dialettica che può murare nel silenzio come motivare alla parola), sia il ritorno ossessivo del trauma come alimento costante di una spirale d’angoscia che il bisogno, anche auto-terapeutico, di razionalizzare, confrontandosi incessantemente con i propri fantasmi nello sforzo di dare un senso all’esperienza vissuta (operazione non di rado precaria e spesso insufficiente per la ricostruzione e la “salute”). Sostanziale continuazione di questa sezione, le due conclusive Mediazioni terapeutiche del trauma. Resilienza e tabù e Scritture traumatizzate e ricerca memoriale conservano il quadro temporale della seconda, ma con messe a fuoco di casi particolari che stringono in modo ancora più netto quel nodo di trauma e scrittura come terapia, tabù (che proprio rimozione e reticenze rendono spesso evidente) e sfida di resilienza attingendo ai codici rappresentativo-evocativi messi a disposizione dalla tradizione culturale. Una carrellata di situazioni-limite che hanno saputo effluire in letteratura, ribadendo l’importanza della funzione estetica (anche in senso psicoterapeutico) per strappare al silenzio l’inconfessabile.

 

Dire i traumi dell’Italia

del Novecento.

Dall’esperienza alla creazione

letteraria e artistica

a cura di Maria Pia De Paulis

Viviana Agostini-Ouafi

Sarah Amrani, Brigitte Le Gouez

Franco Cesati, Firenze 2020

  1. 382, euro 35,00