Trieste Film Festival 31: vince il cinema

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di Stefano Crisafulli

 

Alla fine ha vinto Bashtata (Il padre), film scritto e diretto a quattro mani dai due registi di origine bulgara Kristina Grozeva e Petar Valchanov, che ha ricevuto il premio del pubblico, ma, come sempre, grazie al 31° Trieste Film Festival a vincere è il cinema. Quello da vedere in una sala, sia pure prestata al festival dal Teatro Rossetti, assieme ad altri appassionati e curiosi delle nuove produzioni provenienti dall’Europa dell’Est nel concorso dei lungometraggi, che quest’anno ha presentato anche un’interessante opera kosovara, Zana, firmata dalla regista Antoneta Kastrati. Ma anche il cinema del passato può riservare delle notevoli sorprese, come nel caso di E la nave va di Federico Fellini, visto domenica 19/1 in occasione dei festeggiamenti per il centenario della sua nascita, che hanno portato al Rossetti pure tre brevi documentari.

Per il concorso dei cortometraggi il primo premio è andato al bielorusso Lake of happiness, di Aliaksei Paluyan. Intervenuto alle premiazioni soltanto con un videomessaggio, Paluyan ha detto che il film è dedicato alla storia (vera) di suo padre e voleva rispondere alla domanda: ‘Come può un genitore abbandonare il proprio figlio?’, ma che nemmeno dopo aver realizzato il corto è riuscito a trovare la risposta. Il documentario ungherese A létézs euforiaja (L’euforia dell’esistenza) ha vinto il premio Alpe Adria Cinema e La strada per le montagne di Micol Roubini il premio Corso Salani. Da segnalare, infine, lo spazio dato domenica sera al nuovo film del triestino Davide Del Degan, Paradise, e il documentario Il dono, sul periodo italiano del grande regista russo Andrej Tarkovskij, proiettato martedì. Apprezzato anche l’utilizzo della sala del cinema Ambasciatori, in particolare per i cortometraggi. Non va poi dimenticato il Teatro Miela, che ha permesso al festival di proseguire ben oltre la serata conclusiva delle premiazioni e, soprattutto, di rivedere finalmente (a grande richiesta) i film premiati, cosa che negli anni scorsi non avveniva.

Proprio grazie alla proiezione in extremis (23/1) molti triestini hanno potuto assistere al documentario vincente A létézs euforiaja (L’euforia dell’esistenza), dell’ungherese Réka Szabò. Si tratta di un intenso inno alla vita, che l’ultima edizione del festival di Sarajevo ha giudicato come ‘miglior documentario sui diritti umani’. La storia è quella di una sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz, Eva Fahidi, l’unica di una famiglia di 49 elementi, che a novant’anni decide di partecipare ad uno spettacolo di danza assieme a una giovane danzatrice, Emese Cuhorka. La regista del documentario è anche direttrice artistica di una compagnia di danza contemporanea, ‘The Symptoms’, ed è lei ad aver chiesto a Eva di raccontare la sua storia attraverso le parole e la danza. Ne è nato un delicato poema, toccante ed emozionante, nel quale si è potuta percepire la grande consonanza dei due corpi, liberi di dare spazio al loro profondo sentire attraverso il movimento. Ma, oltre alle immagini, anche le parole di Eva Fahidi non si possono e non si devono dimenticare: quando descrive i corpi ammucchiati nelle camere a gas, l’uno sopra l’altro, nel tentativo di respirare e di rimanere vivi: ‘I più forti – ricorda Eva Fahidi – erano sopra tutti gli altri, e gli ultimi a morire’; o quando dice che non è mai riuscita a piangere, perché la mamma le diceva che ‘piangere è inutile’. Ma ancora di più quando, alla domanda su cosa l’ha aiutata a sopravvivere all’esperienza terribile di Auschwitz, lei risponde, pressappoco così: ‘Nonostante tutte le brutture e le violenze subite, è bello vivere’.