TRIESTE LUOGO DELL’ANIMA

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LA SCOMPARSA DI FULVIO MUIESAN

di Marina Silvestri

 

Firmava con il nome di battesimo Fulvio, le poesie che per trent’anni sono state pubblicate su La Cittadella di Lino Carpinteri e Mariano Faraguna, nel ‘Cantuccio delle Muse’, incorniciate da un disegno dell’artista e vignettista Renzo Kollmann, Fulvio Muiesan, scomparso di recente a quasi 97 anni. Era nato il 6 luglio 1918. Laureatosi a Padova, dopo aver studiato a Pisa e prima al liceo Petrarca di Trieste, giornalista dal 1940, aveva lavorato per il Popolo di Trieste, e il Piccolo Sera, occupandosi della pagina degli Esteri poi, prigioniero negli Stati Uniti, durante la seconda guerra mondiale aveva diretto il settimanale per i prigionieri italiani inquadrati nella Italian Service Units. Rientrato in Italia ha vissuto a Roma curando la promozione internazionale di importanti complessi industriali; è stato responsabile delle pubbliche relazioni per i Cantieri Riuniti dell’Adriatico, e caporedattore della sezione editoriale dell’IRI. La vita lo ha portato a incontrare personaggi come papa Pio XII il presidente Dwight D. Eisenhower e Nikita Krusciov. Un legame con la città profondo, che la lontananza trasfigurava traducendosi in rime che Bruno Maier, curandone la raccolta definì: “una guida ideale per una città sempre dentro di noi: un luogo dell’anima”. Nelle poesie rivive la città della memoria: cangiante come le ore del giorno, ‘Trieste, mama de piera, bona de cuor ma severa’, Trieste ‘città di parole’, ‘città nascosta’, ‘città notturna’, ‘città dentro’, ‘città nervosa’, ‘Trieste o cara’, ‘città in vetrina’, ‘città che iera’, ‘città di mare’, ‘città al sole’, ‘città scomparsa’, ‘città operosa’, ‘la vispa Trieste’. I volti della gente si confondono con i mascheroni sulle case, i colombi di Piazza Grande, i gatti con i ‘oci de oro’, i portoni sempre chiusi in cui si cela la città segreta che il passato ha cancellato. Come una folata di vento. Le liriche di Fulvio Muiesan sono state pubblicate dall’Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione, Dentro de mi Trieste, 1980, a cura di Bruno Maier e Gianfranco Scialino, e della casa Editrice Italo Svevo, Trieste a memoria (1971), Ti come Trieste (1973), Trieste e altre fiabe (1974), Le triestine (1975), Amor de Trieste (1976) e Noi de Trieste (1977), Le rime per Trieste (1995). Elvio Guagnini ne ha parlato in un breve saggio sull’Archeografo Triestino nel 2014, evidenziando come i versi di Muiesan si collochino “in una fascia di produzione che qualcuno definirebbe d’occasione: nati da una vocazione spontanea e da una innata disposizione e facilità al verseggiamento e sviluppatisi poi in una sorta di scrittura su commissione, con periodicità e misura preordinata, […]La poesia di Muiesan si presenta – pur nella sua serialità – con un proprio sicuro decoro e qualità. Mentre, va detto, proprio i caratteri di questa poesia fanno sì che essa si concentri intorno a soggetti costanti: i gesti, i fatti, le opinioni della gente di ogni giorno, gli scorci di quotidianità, le piccole cose, le impressioni, i ricordi, le battute di buon senso, i sentimenti semplici e delicati, i quadretti di un paesaggio che generano variazioni sentimentali, le piccole felicità quotidiane…”. Muisan stesso parlando della sua poetica aveva affermato che le sue rime erano nate per ‘scherzo’ e per ‘nostalgia’: ‘facili’ e ‘domestiche’. Nella semplicità si celava però la profonda cultura dell’autore e una necessità di esplorare le mille sfumature dei sentimenti umani che lo portò a poetare in francese, lingua che, per la sua complessità, gli permise una gamma espressiva più ampia e confacente al suo sentire, profondo conoscitore com’era della grande letteratura e non solo d’oltralpe, da Moliere a Voltaire, Stendhal, Zola, Maupassant, tutti libri che collezionava. “Un caso quasi unico”, come sottolinea il francesista Guido Gioseffi, che fu insigne docente all’Università di Trieste nell’introduzione a Le fil blanc du temps, presentato a Roma nel 1977 dal Centro Culturale Francese tra le opere dei poeti francesi contemporanei. “Il più delle volte – scrive Gioseffi– la lingua di Muiesan è un francese di tutti i giorni, ellittico e sincopato come quello che il popolo usa da sempre, almeno in apparenza, ma che non ignora l’angoscia metafisica. Poeta dell’intimità, Muiesan riesce a far uscire il penetrante delicato profumo delle realtà della vita quotidiana. Egli ci mostra l’uomo in quanto soffre, ama e – soprattutto – si rassegna e subisce la vita. Come nella “madeleine” di proustiana memoria il nostro cucitore del filo del tempo ci fa sentire l’odore ed il sapore delle cose impalpabili che sostengono l’edificio immenso del ricordo. È convinto che i soli autentici paradisi siano i paradisi perduti: l’infanzia e la prima giovinezza: C’est l’araignée dans nos coeurs/ qui file le blanc fil du temps/ dont nous sommes tous prisonniers,/ et chaque jour chaque jour nous serre/ battant plus faibles nos ailes/ comme les papillons qui meurent.

A Trieste sono dedicate anche le brevi prose di Città privata (1980), e Giorni e Avventure di un’infanzia a Trieste (1992). Libri introvabili. Di Città privata. Appunti per una certa Trieste, affascina lo sguardo erudito, “savant”, che con partecipazione e ironia rivista la grande storia e le vicende umane più piccole, affascinato dal gioco della vita e dei destini: si incontrano Carlo VI, Maria Teresa, Fouché, Massimiliano e Carlotta, il barone Revoltella e il conte Stadion, Burton e Stendhal e gli ospiti de l’Hotel de la Ville, che ancora si chiamava Principe di Metternich; brevi ritratti, di caratteri e ambienti, di sentimenti e miserie: una rappresentazione disincantata della commedia umana di cui la città è impastata. Una guida spirituale per percorrere le strade di sempre respirando ciò che rimane del tempo di ieri.

 

 

 

Le lire del poeta

Saba iera sentado

nela sua libreria

con un bascheto in testa,

pensando una poesia.

In fondo, due signori

zercava in un scafal

parlando soto vose

come drio un funeral.

 

-Maestro…gavaria

‘sto Aristotele…ma…

Saba ga alzado i oci.

-Quanti ani te ga?

-Sedici… – A ti i filosofi

me par che no i te va?

-Oh sì, solo che adesso

i ne li ga cambià…

-E i poeti, te piasi?

-Go leto anche le sue,

ma nela antologia

ghe ne xe solo due…

-Se vedi che no merito

de più…Faremo venti,

va ben? – Grazie Maestro…

Cussì, tuti contenti.

 

Co iero sula porta

me son voltà pian pian:

el iera là, sentado,

e ‘l guardava lontan.

 

 

Dalla finestra di Svevo

Ogni tanto, in uficio,

tra una Vostra pregiata a riscontrare

e altre robe che ‘l gaveva in mente

 

sior Schmitz andava verso la finestra

e ‘l vardava la gente

che passava per piazza dela Borsa.

 

Dopo de tanti ani

Che no’l xe più, forsi el ne varda ancora,

pensando: dove i va? Trieste passa

soto de lui, come tirada fora

dale pagine magre dei sui libri

nati tra l’Aquedoto e Piazza granda,

in riva al mar de ‘sta bianca cità

dove che noi, che credemo de viver,

semo storie che lui se ga inventà.

 

Primavera del ‘15

El primo apuntamento

De mio papà e mia mama:

primavera del Quindici,

lu dicioto ela diciassete.

 

La guera seminava morti.

 

Lui la spetava in giardin publico,

con un mazeto de violete.

 

 

Giri de note

Far poesia xe zogar

con la malinconia;

 

sveiandose de note,

camina per le grote

dela memoria, a lume de candela,

 

e in quel poco de ciaro

passar oltra l’amaro

dela vita, e zercar

 

un viso de putela.

 

Appunti per un ritratto

El viso de Trieste

Xe ‘l viso de una dona

Bel, de quel’età

Che no se sa,

e i oci de putela,

 

un viso un poco tirado,

de una che ‘l destin

la se lo ga zogado,

 

con qualche ruga legera,

altre dentro, e ‘l vento

nei cavei. Ale ore

che la gà butà via

no la ghe bada più:

la va per le sue strade,

tra le solite case

e l’mar, coi sui pensieri

che la ga sempre avù;

 

una dona che passa

e no sa che la ga

el viso che gavarìa

‘sta cità.