Un anarchico al museo

| | |

Adelphi pubblica una raccolta d articoli di Giorgio Manganelli sulle arti

di Francesco Carbone

 

«Io non faccio dubitare gli altri essendo però esente da dubbi,

al contrario, essendo io stesso in difficoltà più di chiunque,

faccio così trovare in difficoltà anche gli altri.»

(Platone, Menone, Laterza 1997)

 

Se, senza opporre resistenza, ci si lasciasse invadere da un’opera d’arte per quello che davvero manifesta, si verrebbe presi da una vorticosa sindrome di Stendhal, da raptus di demenza magari ilari, e magari da conversioni non meno catastrofiche di quella di Saulo: chi sarebbe pronto a rischiare? I turisti correrebbero al mare per ripararsi sotto ombrelloni più cari del biglietto dei Musei Vaticani.

Emigrazioni oniriche di Giorgio Manganelli (Adelphi 2023) fa pensare questo e anche peggio (e cioè meglio). Il libro raccoglie una parte importante degli articoli che Manganelli ha scritto sull’arte, parola che sa farci sentire scomoda: dalle sculture preistoriche della Val di Magra al progetto di Lucio Fontana per una porta del Duomo di Milano, passando per Van Gogh, Michelangelo, i mobili Biedermeier, i manieristi, eccetera.

L’elenco è aleatorio, come la sequenza scelta dal curatore Andrea Cortellessa per la compilazione del volume. E questo va benissimo: chi conosce anche solo un po’ Manganelli sa che è autore di un’opera disponibile a vari ordini, e disordini; che è un labirinto, ovvero uno spazio per il quale è vano stabilire – Manganelli lo scrive reduce da una mostra sul manierismo – se sia «ordine o disordine».

Anche Emigrazioni Oniriche può essere letto – e ancora meglio riletto – a caso, seguendo i fili di associazioni e suggestioni proprie. Allo stesso tempo, Cortellessa ci propone una porta al dedalo, ed è Imminente, quotidiana fine del mondo, che Manganelli scrisse nel 1969 per Mondo operaio. È bene partire da lì. Si tratta della recensione di Arte e anarchia di Edgar Wind (Adelphi, 1997): raccolta di saggi del più interessante collaboratore di Aby Warburg, che caldamente si consiglia.

In breve: nel X libro della Repubblica di Platone si trova la più celebre condanna dell’arte, che va tenuta alla larga dalla città ideale. Platone, il più poetico dei filosofi, scrive che proprio perché l’artista è «un essere raro e santo e dilettevole», sarà unto di mirra, onorato da un serto di lana e quindi «accompagnato in un’altra città»: troppo pericolosi i demoni che risveglia. Questa condanna è apparsa pressoché a tutti un errore, facendoci sentire – almeno in questo – migliori e più liberali dell’autore del Simposio. Ma proprio Platone sapeva che c’è una follia «che deriva da un divino mutamento delle abitudini consuete» (Fedro).

Edgar Wind, e con lui Manganelli, prende sul serio il discorso di Platone, che ha capito il potere dell’arte. Scrive Manganelli: «la fantasia artistica – letteratura, musica, arti figurative, eccetera – è essenzialmente traumatica; è esperienza per sua natura selvatica, segregata, discontinua alle più agevoli consuetudini collettive; non è deducibile da precedenti esperienze. La condizione dell’artista è dunque naturalmente anarchica; rilutta alla storia, è asociale, catastrofica, narcisistica». C’è tutto Manganelli in queste righe, e, per noi lettori, tutti i motivi per seguirlo o per rigettarlo.

L’aut-aut potrebbe essere detto così: o Pasolini (e magari oggi la Murgia) o Manganelli. O l’artista che si sente latore di messaggi morali, alfiere pedagogico anche con la sua stessa vita di denunce, o no. Pasolini definì Manganelli «un teppista»; Manganelli vedeva in Pasolini lo scrittore dalla «stizzosa bontà», che, «ossessionato dall’autentico, non poteva non naufragare nelle tiepide sabbie del falso». Pasolini, e magari la Murgia, è uno scrittore perfetto per innumerevoli temi per gli studenti dei licei italiani, Manganelli neppure tra mille anni.

Il paradosso è che Manganelli è stato – anche – uno scrittore civile non meno di Pasolini, ma mai melodrammatico, esibizionista, mai diventando il pubblico personaggio di se stesso.

Torniamo a Wind.

La storia dell’Occidente, soprattutto dall’Ottocento borghese in poi, è stata una vittoria sottile e forse irreparabile della posizione di Platone: l’arte non è stata bandita dalla città (avrebbe potuto tornare), ma depotenziata, spenta, evirata dagli stessi dispositivi culturali che l’hanno innalzata (?) nel pantheon eterno della nostra cultura: i musei, le accademie, le università… l’arte è stata affogata nel gorgo dei blabla che sull’arte, sempre più educatamente e sempre più da mercanti, sono stati fatti e si fanno. C’è un artista che oggi possa far paura a qualcuno?

In Emigrazioni oniriche leggiamo molti esempi di come Manganelli ci offra lo spazio dell’opera d’arte come luogo dello stupore, dello straniamento, dell’interrogazione che non vuole esaurirsi nella consolazione di una risposta culturale.

Per esempio, nelle pagine che dedica ai ritratti silenti e intensissimi che erano stati apposti sulle mummie di Fayyum, alle grandi statue preistoriche della Val di Magra, alle icone russe al cui autore la comunità religiosa «non solo non chiede di essere un genio, ma gli vieta di esserlo», eccetera.

C’è un amletico metodo in questa follia.

Prima di tutto una coltivata incompetenza: un’incompetenza radicale. Manganelli non è uno scrittore competente di letteratura che osa da dilettante scrivere del restauro della Sistina o della luce dei caravaggeschi. L’incompetenza è data prima di tutto proprio dall’essere scrittore: «scrittore è colui che è sommamente, eroicamente incompetente in letteratura». Richard Feynman diceva lo stesso del fisico quantistico; del resto solo chi non è innamorato può concionare metadiscorsi sull’amore.

Questa incompetenza non è un dato misurabile, non è colmabile con conoscenze che mancano: al contrario. L’incompetenza è una conseguenza di quello che si sa. Se le nostre conoscenze fanno un cerchio, la nostra ignoranza è il suo diametro: quel confine cresce man mano che si allarga il cerchio. Il ministro Lollobrigida che si è dichiarato «ignorante ma non nazista» è incomparabilmente meno incompetente di Giorgio Manganelli, la cui biblioteca di 18.000 volumi oggi è ammirabile al Centro Manoscritti di Pavia.

Come la sapienza di Socrate, l’incompetenza di Manganelli è paradossale. Quando si chiese all’oracolo chi fosse l’uomo più sapiente della Grecia, l’oracolo rispose Socrate; ma quando si andò a chiedere a Socrate cosa sapesse, lui rispose che sapeva di non sapere nulla (erano i sofisti quelli che sapevano). Siamo finiti in uno spazio eminentemente ironico.

La socratica incompetenza di Manganelli è ostinatamente interrogante e ilare. Se il critico d’arte è tenuto «per professione e cattedra […] a cercare in un quadro altri quadri, e nient’altro», questo nient’altro è il prezzo che l’incompetente Manganelli non vuole pagare: dove sarebbe il godimento? E senza godimento l’arte cos’è?

«Io non so bene che cosa sia l’arte», e «la mia incompetenza mi consente di essere emotivo, impreciso, irresponsabile». Manganelli si sottopone al campo di forze di un quadro o di una scultura quasi fosse una macchia di Rorschach: l’opera è accolta da uno sguardo coltissimamamente ignorante e anarchico.

I fenomenologi, molto meno divertenti di Manganelli, hanno chiamato epokè – che vuol dire sospensione del giudizio – questo modo di osservare tenendo i giudizi da parte (l’opera è un capolavoro? È degna di un museo? E cos’è un museo? È un caso di arte minore o maggiore? È arte?): è pensiero laterale in atto: come sempre è il pensiero creativo, quello che inventa le Demoiselles de Avignon, la Sagra della Primavera, la teoria della relatività e che non fa scoppiare la terza guerra mondiale quando lo ordinano i computer.

Con ben altro senso del comico e dell’ironia, è un modus forse non diverso da quello di Paul Valéry, e molto più profondo – sensuale, viscerale, vitale – di quanto si possa trovare nel recente Guardare del sempre educatissimo Italo Calvino (Mondadori, 2023).

E ogni pagina è un godimento. Fruttero e Lucentini avevano scritto che leggere Manganelli era, anche per uno scrittore buono, come per un bravo calciatore veder giocare Maradona.

 

Giorgio Manganelli

Emigrazioni oniriche

Scritti sulle arti

a cura di

Andrea Cortellessa

Adelphi, 2023

  1. 348. euro 24,00