Un cuore arido

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Cassola non è autore soltanto de La ragazza di Bube

di Luisella Pacco

 

“Lo scrittore de La ragazza di Bube… L’autore de Il taglio del bosco…”

A cent’anni dalla nascita e a trenta dalla morte, di Carlo Cassola si parla moltissimo, ma se ne parla così.

In un doppio anniversario talmente importante, anche per me sarebbe stato impossibile trascurare Cassola, che sento molto vicino, ma mi irrita che si citino sempre le stesse opere.

Eppure, la sua produzione fu eccezionalmente ampia. Fu persino criticato e deriso per la prolificità, e ne soffrì.

Nella prima edizione Rizzoli del 1975 di Troppo tardi, nella nota dell’autore, si lasciava andare a uno sfogo: So di scandalizzare coloro che mettono sotto accusa gli scrittori prolifici. Sono sotto accusa anch’io: da alcune parti si fa dell’ironia sul mio romanzo, pardon, sul mio romanzetto “annuale”. Mi sembra un’accusa ridicola. C’è niente di più ridicolo che imputare a uno scrittore di scrivere?

Nato a Roma ma toscano d’origine e per volontà, avendo scelto la Maremma come luogo privilegiato del suo abitare e del suo scrivere (quasi tutte le storie si svolgono entro il triangolo Volterra – Marina di Cecina – Grosseto), Cassola fu uomo di profondo impegno civile. Partigiano durante la guerra, in attività politica nel dopoguerra (nel partito socialista) ed infine pacifista ed ecologista negli ultimi anni della sua vita.

Come scrittore, da giovane è segnato dall’ermetismo e dai grandi poeti come Ungaretti e Montale, da cui prende, trasferendola nella prosa, la medesima essenzialità di stile, un’economia della parola che lo accompagnerà per sempre.

Ama i racconti di James Joyce: nei Dubliners riconosce quella quotidianità, quella vita minima di gente umiliata e misera, quella stessa semplicità che saranno il suo tratto.

“Il sentimento di un personaggio vale quanto il suo vestito” ripete, sottolineando che anche la descrizione della psicologia, dei turbamenti dell’anima, vale quanto quella dell’esteriorità.

Di questa fase fanno parte, tra gli altri, La visita, Le amiche, Rosa Gagliardi, Il taglio del bosco... Trame esilissime, dove non accade quasi nulla.

Ma accade la vita.

Cassola pensava che la vita non fosse altro che questo; piccole cose, modesti accadimenti, l’uno dopo l’altro, legati da un filo di senso o forse nemmeno, e che lo scrittore avesse il preciso dovere di portare questo flusso sulla pagina. Nulla di più, nulla di meno, con sobrietà e misura.

Più tardi, più o meno dal 1949 al 1960, viene una fase detta “narrativa dell’impegno”, che subisce l’influenza neorealista e tratta di temi civili, di resistenza, con vicende che hanno un certo svolgimento (I vecchi compagni, Fausto e Anna, La casa di Via Valadier, La ragazza di Bube…).

Successivamente Cassola torna alle origini, al “sentimento”, a ciò che il personaggio porta nel cuore. Verrà persino paragonato a Liala, da alcuni critici che anni dopo ammetteranno di essersi clamorosamente sbagliati. I suoi libri non sono affatto rosa, né banali o facili come sembrano.

In questa fase non è la vicenda – di nuovo minima, di nuovo fragilissima – a importare, bensì la percezione e l’elaborazione intima della realtà, molto più della realtà oggettiva stessa. Ne fanno parte Un cuore arido (con cui Cassola, come scrive su L’unità del 22 giugno 1962, sente di aver ritrovato la sua autentica vena narrativa), Storia di Ada, La maestra, Una relazione, Ferrovia locale, Paura e tristezza, Troppo tardi ed altri.

L’ultima fase è quella del Cassola antimilitarista, pacificista ed ecologista, con la cosiddetta Trilogia atomica (Il superstite, Ferragosto di morte e Il mondo senza nessuno) ed altri scritti.

Vedete: una produzione fittissima e variegata.

Perciò, perdonatemi se non parlerò de Il taglio del bosco (pur bellissimo, storia pacata di un dolore, di un uomo che ha perduto da poco la moglie e segue il lavoro dei boscaioli nei boschi Massa Marittima). E non vi dirò nemmeno troppe cose de La ragazza di Bube che nel 1960 vinse il Premio Strega, che nel 1963 diventò un film di Comencini con Claudia Cardinale e George Chakiris…

Vi parlerò invece di Un cuore arido, del 1961, che considero uno dei suoi romanzi migliori.

Protagonista è la diciottenne Anna, che vive con la sorella Bice a Marina di Cecina. Sono orfane di entrambi i genitori e vivono con una zia. Anna è scontrosa e non è mai stata innamorata. Con le amiche commenta sarcastica “Io non ci credo a questa storia dell’amore”.

“Non ci credi perché non hai ancora provato”, le ribattono.

Il giovane Enrico le fa la corte, lei non accetta. Ha un modo di fare che la mette a disagio. Non era mai naturale: parlava in modo forzato, rideva in modo falso.

Nel frattempo Bice si fidanza con un militare di stanza nella città, Mario, che però è attratto da Anna e un giorno glielo dice apertamente. Inizia un intenso rapporto amoroso e quando, dopo il congedo, Anna viene a sapere che il giovane si trasferirà in America, gli si concede.

Alla partenza di Mario, Anna non soffre più di tanto, anzi, con sua stessa sorpresa quasi lo dimentica. Poco dopo conosce Marcello, figlio di un negoziante, comincia a frequentarlo, e si concede anche a lui, questa volta senza convinzione, senza profondità.

La sua debole volontà cercò di resistergli. Era assurdo quello che stava succedendo… Ma era troppo stanca; e quando, dopo una breve lotta, si ritrovò sul letto, sentì che le forze la abbandonavano del tutto. Chiuse gli occhi, e lasciò che si compisse ciò che la vita aveva stabilito.

Qualcuno ha detto che i personaggi di Cassola verrebbe voglia di prenderli per le spalle, tirarli da parte e scuoterli. La vita non ha stabilito nulla, Anna – vorrei dirle anch’io -, alzati, scegli, decidi la tua sorte.

Ma Anna non riesce ad essere coinvolta dai propri sentimenti, né in un senso né nell’altro, né nella passione né nel rifiuto. Forse è stata ferma e schietta solo con Enrico, quando ha saputo dirgli ben chiaro che non lo voleva. Dopo di allora, dopo Mario, dopo aver amato una volta, si lascia andare, come se non le importasse più di niente. Non sa dare né ricevere vero affetto; non sa dire più di no, ma i suoi sì sono senza verità.

Bice nel frattempo si sposa con Enrico, mentre Anna è criticata dai compaesani. Un giorno rischia persino di essere violentata perché ormai la si considera una ragazza facile.

Mentre tutto sembra destinare Anna alla solitudine e quasi alla vergogna, arriva da Chicago una lettera di Mario, che la ama ancora e vuole sposarla.

Ed è qui che il valore di Anna si rivela tutto.

Molte donne accetterebbero immediatamente, cogliendo la possibilità di una sistemazione, di un amore, di un altro paese, di un’altra vita. Invece Anna gli risponde con correttezza, in totale onestà, mettendolo al corrente dell’avventura con Marcello e, pur dichiarando di amarlo ancora e di aver tradito il suo ricordo solo perché soffriva (ma sta dicendo il vero, o mente anche a se stessa?), Anna è impersonale, distaccata, e cortesemente rifiuta.

Il mattino dopo, riflettendo sui suoi sentimenti, capisce che sì, aveva amato Mario ma forse non così ardentemente. Ama di più i luoghi della sua vita, ama di più la sua esistenza semplice e piana. Ama le giornate che le si succedono davanti, e di ciascuna vede il valore.

Nessuna vita era povera [..] Il sole! Il sole! Si levava ogni mattina, ogni mattina riscaldava le anime, col suo calore, con la sua luce. Ogni mattina tornava a svelare la infinita bellezza del mondo, quella bellezza che l’anima può contenere, ma che la vita quotidiana non può accogliere. La vita quotidiana si componeva di tante cose, piccole e grandi, rifare i letti e mangiare, fidanzarsi e sposare; ma la vita vera era come la luce e il calore del sole, qualcosa di segreto e di inafferrabile.

Non è triste, mentre pensa a se stessa; si sente libera e sicura di sé.

Pensa a Bice e a Enrico che in quel momento stanno godendo della felicità coniugale, ma non provava invidia. Era ormai una donna soddisfatta, quieta e saggia; non aveva desideri né rimpianti, e non temeva la solitudine.