Un diario dall’Isonzo

| | |

Per la prima volta tradotto in italiano il testo di Alojzij Res, testimonianza della Grande guerra vista dalla riva sinistra del fiume

di Anitha Angelmaier

 

Alzi la mano chi a Trieste, non facendo parte della comunità slovena, ha mai sentito parlare di Alojzij Res. Immagino un silenzio imbarazzato, gli occhi bassi e le mani posate in grembo. Eppure si tratta di un intellettuale e scrittore goriziano benemerito anche per la cultura italiana, che ha arricchito come docente e mediatore culturale. Nasce nel 1893, in una famiglia non agiata, entra, assolti gli studi ginnasiali, nel Seminario centrale di Gorizia, passa gran parte del 1916, angustiato da problemi di salute, presso la sorella a Bagnoli della Rosandra, per spostarsi nel 1918 a Vienna, avendo abbandonato l’anno prima gli studi teologici, per prendere servizio nel Kriegspressequartier, la sezione-propaganda dell’esercito imperiale, dove era stato cooptato in considerazione della sua fedeltà dinastica (in realtà fedeltà alla patria slovena, ma nei primi anni di guerra le due cose coincidevano) e dello spiccato  talento di scrittore. Dopo la guerra studia a Zagabria, Lubiana e Firenze, dove incontra l’amore della sua vita, Dina Frasoli, che gli darà tre figlie e imparerà lo sloveno per diventare essa stessa traduttrice. Stabilitosi a Venezia, avendo cattedra a Ca’ Foscari, muore, poco più che quarantenne nel 1936. Come si vede, una vita povera di eventi, non molto ricca di soddisfazioni culturali e prematuramente troncata. Nel periodo italiano si assume il compito di fare da tramite tra le due culture, rinunciando alle ambizioni di scrittore in proprio, attività che culmina nell’impresa di un volume dedicato a Dante nei seicento anni della morte, con saggi di autori italiani e sloveni ed una doppia edizione: in sloveno, pubblicata a Lubiana, e in italiano, uscita presso i tipi Paternolli di Gorizia.

Rotto dunque il ghiaccio con il personaggio veniamo all’Ob Soci (Dall’Isonzo – Diario di impressioni e sentimenti), che esce nella collana “Bibliotechina del Curioso” dell’Istituto giuliano di storia cultura e documentazione di Trieste e Gorizia. Si tratta del diario di guerra del giovane Res, spettatore affranto del conflitto che strazia le amate terre del Collio e minaccia (di espulsione oppure di conquista e snaturamento) la comunità slovena, pubblicato due volte negli anni della guerra e due volte, successivamente, nella Repubblica di Slovenia. Ma mai fino ad oggi in italiano. La traduzione, fedele ed elegante, si deve al giovane studioso e docente Remo Castellini, un tarquiniese attivo all’Università di Vienna, che ha curato anche la nota biografica e, ancora più importante dal punto di vista filologico, analizzato le varianti dell’edizione in volume rispetto alle corrispondenze apparse, nei primi mesi di guerra sul fronte italiano, sul giornale Slovenec. Castellini è uno di quei giovani che si sono lasciati affascinare dalle vicende tumultuose e complesse delle nostre terre e dal multilinguismo che le caratterizza diventandone, rimboccatisi parecchio la maniche, degli splendidi interpreti; quindi, come esclamano i francesi, “chapeau!”. Ob Soci non ha niente però dell’arida crudezza di una cronaca di gesta militari, come capiranno subito i lettori, perché si tratta invece di una sorta di diario lirico, che lamenta, su un esplicito orizzonte etico-religioso, la devastazione che la guerra apporta al piccolo eden sloveno del Collio goriziano, causando morte, distruzione, profuganza. Del resto Res arrivava a questo libro avendo dietro le giovani spalle un buon curricolo di poeta e di narratore, che ce lo mostra partecipe – come evidenzia Castellini – della corrente letteraria della «Slovenska Moderna», una sorta di post-realismo che guarda con interesse ai nuovi acquisti, intellettuali, epistemologici e formali, sul piano letterario, del “secolo breve”. Un’opera insomma particolarmente raffinata che si può leggere per puro piacere estetico, non senza restare colpiti però dalla partecipazione umana che Res esprime nei confronti del suo universo rurale, stretto in un solo afflato di fede e tradizioni.

Per ingolosire, riportiamo qui un passo in cui Res racconta di un breve viaggio in treno da Gorizia a Trieste, una città che gli appare ripiegata, inerte e ingrigita, nonostante la natura rigogliosa che la circonda, e che Res descrive con grande virtuosismo di colori: «Il treno scivolò tra gli uliveti e i cespugli d’alloro tra i quali la luna tesseva una rete dorata che faceva baluginare le foglie argentate degli ulivi. Il mare ondeggiava armonioso e le onde canterine si infrangevano in mille perle scintillanti. Dal verde brillante delle acque apparve allora il castello di Miramare, che si ergeva su un piccolo promontorio della costa. Il castello non sembrava creato dall’uomo: era come se il mare stesso l’avesse gioiosamente dato alla luce e che il Carso, desideroso di bellezza, lo avesse adagiato tra le onde vellutate del mare. Il candido castello sembrava sognare spazi sconfinati e ricchi di segreti, che il mare custodiva di un amore geloso, con gli occhi di un bambino intento ad ascoltare una fiaba e a fantasticare sul mondo. Trieste, dov’è adesso la tua vita vivace ed irrequieta? Come mai alle prime ore della sera le tue finestre sono già chiuse e le vie buie e deserte? Camminavo da solo sulla riva avvolta dalla luce soffusa della luna. Il porto era vuoto, solo sul molo si stringevano impauriti alcuni trabaccoli, le barche a vela e le navi dei pescatori di Chioggia. Non c’era più traccia delle grandi e orgogliose navi a vapore sul molo San Carlo, né c’era più il continuo via vai di passeggeri, accompagnato dallo scrosciare di mille voci. Solo il mare rimane eternamente vivo ed eternamente giovane, mentre si apre come un’enorme tovaglia di seta verde e respira tranquillo, frusciando sommessamente nella pace notturna. Ma in questi tragici giorni, Trieste, odio ed invidia stanno soffocando la tua vitalità!».

Così “canta” Res, e mai parola sembra meglio impiegata. Se poi qualcuno volesse approfondire le implicazioni del testo, c’è, come abbiamo anticipato, il ricco apparato di analisi e confronti messo a punto da Castellini e un saggio del presidente dell’Istituto Giuliano, Fulvio Senardi (La croce e la spada. Alojzij Res sul fronte isontino) a suggerire qualche collegamento con la contemporanea letteratura di guerra, sullo sfondo della partecipazione intellettuale e morale allo sforzo militare della Doppia monarchia espressa dagli scrittori austriaci. Un ultimo rilievo prima di chiudere: il lettore noterà che il volume è stato finanziato dall’Università di Vienna. Interrogato su questo punto, il presidente dell’Istituto giuliano è, al solito, graffiante. Quei finanziamenti, dice, che gli enti pubblici italiani spesso ci negano ci sono stati in questo caso garantiti da un’Università straniera che ha guardato ai titoli di cultura ed alle competenze senza avanzare quelle curiose obiezioni (tipo: non siete mai stati finanziati dal nostro ente, quindi non avete diritto a ricevere alcunché nemmeno in futuro) che non di rado accompagnano – cortesemente, eh, sia bene inteso – i frequenti “no”.

  1. Informazione pratica: impossibilitato per ragioni economiche a distribuire il volume su scala nazionale, l’Istituto Giuliano lo affida per la vendita alla Libreria Minerva di Trieste. È possibile chiederne copia direttamente all’Istituto (segreteria@istitutogiuliano.it) che la invierà al domicilio indicato con lo sconto del 10 per cento e spese postali (1,38 €) a carico del richiedente.

 

Alojzij Res

Dall’Isonzo. Diario di

impressioni e sentimenti

traduzione, note e commento

di Remo Castellini

con un saggio di

Fulvio Senardi

Istituto giuliano di storia

cultura e documentazione

Gorizia-Trieste, 2021

  1. 188, euro 15,00