Un garage in un monumento del neoclassico?

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Per “salvare Palazzo Carciotti” una generosa ma tardiva petizione

di Roberto Curci

 

“Toh, la solita banda (conventicola? cricca?) degli intellettuali di sinistra concittadini…”. Sarà questa – scommettiamo? – l’annoiata reazione degli amministratori comunali triestini quando riceveranno la petizione attualmente a caccia di congrue e prestigiose adesioni all’insegna dell’appello “Salviamo il Carciotti”. Un appello sacrosanto ma piuttosto tardivo e sostanzialmente disperato. Così come disperata e disperante è e rimane la scelta del Comune di far cassa svendendo, al prezzo (ribassato) di meno di 15 milioni, il palazzo più rappresentativo della grande stagione neoclassica a Trieste.

Che il Comune non intenda mollare (né certo mollerà per la seccante intrusione di una pattuglia di uomini di cultura scandalizzati) è evidente dal ciclico ripetersi delle aste indette appunto allo scopo di cedere al miglior acquirente l’enorme edificio (100 metri di lunghezza, 40 di larghezza, su un’area di quasi seimila metri quadri) voluto dal commerciante greco Demetrio Carciotti a cavallo tra ‘700 e ‘800. Un gioiello cittadino, non solo sotto il profilo architettonico e scultoreo: responsabili, per la costruzione, Matteo Pertsch e Giovanni Righetti, e il canoviano Antonio Bosa per la creazione di quasi tutta la statuaria, esterna e interna.

Un gioiello che, tuttavia, non commosse granché la Soprintendenza e, a monte, il Ministero quando, già nel 2004, fu dato l’ok all’”alienazione dell’immobile”, ponendo sì una serie di condizioni di ordine conservativo ma autorizzando “eventuali interventi sugli interni”, pur sempre mirati “al recupero delle caratteristiche originarie dell’edificio”, in particolare per la parte fronte mare, da restaurarsi – così nelle intenzioni – senza stravolgerne la fisonomia.

Chi alla fine si impadronirà del palazzo s’imbatterà dunque, almeno sulla carta, in una serie di stringenti vincoli, relativi non solo al restauro conservativo delle zone maggiormente di pregio (“atrio d’ingresso, scalone, sale di rappresentanza” nelle riduttive indicazioni ministeriali), ma anche alla loro “pubblica fruizione”. Teoricamente, insomma, il futuro proprietario dovrà far pagare un biglietto a chi volesse visitare almeno una fettina del glorioso edificio. Per il resto avrà mano libera per realizzarvi l’ennesimo mega-albergo o per frammentare il tutto in una miriade di appartamenti.

Del resto, si dirà, che altro fece Demetrio Carciotti? Riservò a sé stesso il piano nobile verso il mare, realizzò sedici abitazioni nei piani superiori e rese operativo il vastissimo pianterreno, creandovi scuderie, rimesse, granai e ben diciotto magazzini: il tutto al servizio delle sue ambizioni imprenditoriali, che d’altronde erano ben giustificate e all’origine, anzi, delle fortune che gli avevano consentito appunto l’ideazione e l’edificazione in tempi assai brevi di un palazzo di quelle dimensioni e di quella sontuosità.

Giunto a Trieste nel 1775, Carciotti fece il colpo grosso quando concluse con il boemo conte Waldstein un affare in cui da mediatore funse Giacomo Casanova: fu lui infatti a garantire a colui che, all’epoca, era il suo mecenate (l’ultimo) che a Trieste non v’era mercante più abile e solido “per lo smercio de’panni” di quel tale immigrato greco. Di quattrini Carciotti ne fece così tanti da farsi venire il ghiribizzo di un palazzo affacciato sul mare e sul Canal Grande, da ottenere già nel 1798 il permesso di costruzione dalla Direzione delle Fabbriche, da assumere Matteo Pertsch (che operava col Piermarini alla milanese Accademia di Brera) e da far concludere i lavori già nel 1805, ovvero a tempo di primato. Da vergognarsi, oggidì, delle esasperanti lungaggini progettuali, procedurali, burocratiche e operative (ricorsi ai Tar esclusi).

Presto e bene, dunque. Il duo Pertsch-Righetti introdusse in Palazzo Carciotti novità assolute per Trieste quali la cupola “palladiana” ricoperta in rame e sormontata dall’aquila napoleonica, e le sei+sei colonne ioniche scanalate, sulla facciata anteriore e su quella postica, già conclusa nel 1800 (come testimonia l’orgogliosa scritta in lettere bronzee sulla trabeazione). Ma il vero monumento a sé stesso Carciotti lo affidò alle sculture di Bosa, specialmente nei sei personaggi simbolico-mitologici allineati sulla facciata principale, tutti riferiti – da Portenus ad Abundantia – a fortune e buoni auspici collegati all’attività del commercio: fonte di ricchezza per chi l’esercita, ma fonte di vantaggio per l’intera città.

Può bastare tutto ciò, ovvero l’alto valore artistico, la testimonianza di un’epoca di gran prosperità mercantile, il documento storico che Palazzo Carciotti rappresenta, anche per essere stato la prima sede delle Assicurazioni Generali, nel 1831, a far rinsavire chi da tempo ha deciso di togliere questo emblema del Neoclassico triestino dal patrimonio culturale della città? La risposta è palesemente “no”, e la reiterazione delle aste (quattro andate a vuoto) denuncia chiaramente la volontà di “tirar dritto”, come del resto oggi è di moda. Tanto più che, dopo l’ennesima asta-flop, è emersa l’eventualità (lo spettro?) di una trattativa privata, che – parole di assessore – consentirebbe “maggior margine d’azione per l’imprenditore riguardo agli interventi di ristrutturazione degli interni”, ma altresì offrirebbe maggiori “servizi ai cittadini”. In effetti, una candidatura-prelazione è da poco affiorata, e se ne attendono con ansia gli sviluppi.

Ma quali potrebbero essere i decantati “servizi” offerti ai cittadini? Si ipotizza (e se n’è scritto) la creazione di una residenza per studenti o per anziani parecchio abbienti. Noi, col pessimismo della ragione, paventiamo piuttosto un’altra soluzione: una bella quantità di posti-auto nei vecchi magazzini trasformati in maxi-garage. Più semplice e molto meno dispendioso, per il sollievo degli acquirenti e dei triestini forzati del volante.

Prima o poi, comunque, si compirà il destino del Carciotti. Sarà come se nell’altra grande “capitale” europea del Neoclassico, Pietroburgo, si decidesse di sbarazzarsi del palazzo della Banca di Stato del Quarenghi, o del palazzo della Borsa di Thomas de Thomon. Lassù si griderebbe alla lacerazione di un tessuto architettonico e urbanistico irripetibile. Qui si raccolgono firme, più o meno illustri. Il resto è silenzio.

 

 

 

Riquadro:

 

con l’ottimismo della volontà

 

Le firme dell’appello al Sindaco di Trieste perché venga mantenuta la proprietà di Palazzo Carciotti alla città e la sua destinazione pubblica verranno consegnate al Sindaco nel mese di settembre del 2020.

Sono promotrici dell’iniziativa e prime firmatarie le seguenti persone:

Roberto Canziani, Giuliana Carbi Jesurun, Roberto Dambrosi, Diana De Rosa, Anna Laura Govoni, Elvio Guagnini, Alexandra Hagemann, Wissal Houbabi, Lucia Krasovec-Lucas, Marko Kravos, Emanuela Marassi, Marija Mitrović, Roberto Paci Dalò, Massimo Premuda, Livia Rossi, Dubravka Šantolić Cherubini, Marcela Serli, Davide Skerlj, Marko Sosič, Nicoletta Zanni, Maila Zarattini.

 

Si può aderire all’appello SALVIAMO PALAZZO CARCIOTTI collegandosi al sito https://palazzocarciotti.org/