Un paese senza fiducia

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Il rapporto pubblicato dal CENSIS lo scorso 6 dicembre sulla situazione sociale del Paese, evidenzia con crudo realismo l’immagine di un Paese sconcertato e sfiduciato, che fatica a uscire da una lunga crisi economica della quale, in sostanza, non riesce a vedere la fine. Tra i primi dati posti in evidenza e consultabili presso il sito dell’Istituto, (http://www.censis.it/rapporto-annuale/il-furore-di-vivere-degli-italiani) appare che «l’incertezza è lo stato d’animo con cui il 69% degli italiani guarda al futuro, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista». Il dato è facilmente comprensibile e il CENSIS ritiene di individuare le cause con la «rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria», mentre è venuta meno la fiducia sull’esistenza della possibilità di usufruire, per sé o almeno per i figli, di un “ascensore sociale”, e difatti «il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale. Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso».

Le narrazioni che ci vengono generalmente propinate sull’occupazione sono così riassumibili: è vero che dal 2007 al 2018 gli occupati sono aumentati di 321.000 unità, e che l’andamento continua così anche nel 2019. Quanto non viene granché evidenziato è però il dato che sono diminuiti di 867.000 gli occupati a tempo pieno e aumentati di 1,2 milioni quelli a tempo parziale, per cui attualmente «un lavoratore ogni cinque ha un impiego a metà tempo. Ancora più critico è il dato del part time involontario, che riguarda 2,7 milioni di lavoratori. Nel 2007 pesava per il 38,3% del totale dei lavoratori part time, nel 2018 rappresenta il 64,1%». Quanto basta per far intitolare il relativo paragrafo del comunicato «Più occupati, meno lavoro: il bluff dell’occupazione che non produce reddito e crescita».

C’è poi una popolazione sempre in calo dal 2015 e sempre più anziana: «436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti. Nel 2018 i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Nel 2018 anche i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto a cinque anni fa». Ovviamente, il crollo delle nascite ha un diretto effetto sull’aumento degli anziani: nel 1959 superava la soglia dei 64 anni il 9,1% della popolazione complessiva, tra vent’anni si calcola che tale valore sarà del 31,6%. All’invecchiamento inoltre contribuisce l’esodo dei giovani verso l’estero: negli ultimi anni hanno abbandonato l’Italia più di 538.000 persone al di sotto dei quarant’anni.

Vi sono poi i dati relativi alle carenze di formazione, il basso numero di laureati rispetto alla media dei paesi europei, l’insufficiente qualità delle conoscenze acquisite a scuola, i dati sull’abbandono scolastico.

Ma quanto appare più inquietante è ciò che viene presentato sotto il titolo «Il suicidio in diretta della politica italiana e le pulsioni antidemocratiche», ove viene riscontrata una crisi inarrestabile di fiducia: «solo il 19% degli italiani parla frequentemente di politica quando si incontra. Il 76% non ha fiducia nei partiti (e la percentuale sale all’81% tra gli operai e all’89% tra i disoccupati). Il 58% degli operai e il 55% dei disoccupati sono scontenti di come funziona la democrazia in Italia». La cosa ha un preoccupante corollario: «Il 48% degli italiani oggi dichiara che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (e il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai)».

A noi non resta che indirizzare i più sinceri auguri ai nostri lettori per un 2020 prospero e sereno. Dunque, buon anno a tutti!