Un sindaco poeta

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Intrecciata con quella di Carlo Levi la breve vita di Rocco Scotellaro

di Nicola Coccia

 

Nell’interessante intervista fatta da Michele De Luca a Carlo Levi l’intellettuale torinese sovrappone un ricordo. è quello del suo primo incontro con Rocco Scotellaro. Levi dice di averlo incontrato “nell’inverno primavera del ’46, quando lui aveva già letto il mio Cristo si è fermato a Eboli ed era già sindaco di Trocarico”. è vero. Lo incontrò nel maggio del ’46. Rocco Scotellaro aveva già letto il Cristo. Ma non era ancora sindaco di Tricarico. Lo sarebbe diventato dopo le elezioni amministrative del 20 ottobre. All’età di 23 anni.

Anche se non era un contadino, anche se suo padre era un calzolaio, Rocco Scotellaro, ancora studente universitario, viveva in un ambiente contadino. Tre anni prima, la vigilia di Natale del ’43, aveva fondato nella sua abitazione, allora in via Roma 65, la sezione socialista intitolandola a Giacomo Matteotti, sequestrato a Roma, e assassinato dai fascisti nel bosco della Quartarella dove venne ritrovato due mesi dopo. Per le sue capacità fu chiamato a far parte dell’esecutivo provinciale del partito e nell’aprile del ’46 aveva partecipato e Firenze al congresso del Psi, aperto da Nenni, in vista del Referudum.

Appena eletto sindaco di Tricarico organizzò una sottoscrizione popolare, non solo di denaro, ma anche di attrezzature, per aprire un reparto ospedaliero che allora non c’era. Alla colletta parteciparono anche gli emigranti. Il vescovo, Raffaello Delle Nocche, gli concesse dei locali nel seminario. L’ospedale venne aperto in nove mesi. Rocco Mazzarone, scrittore, docente universitario, il medico che più di altri aveva lottato per debellare la tubercoli e la malaria, lo diresse per molti anni. Oggi l’ospedale è intitolato a lui. Suo braccio destro era il chirurgo Guido Barbieri Hermitte che dormiva addirittura nella stanza accanto al pronto soccorso. Scotellaro costruì la scuola e avviò corsi per i ragazzi e per gli adulti. Lui, è vero, era il sindaco, ma anche l’organizzatore politico, sindacale e sociale. Se non lo trovavano in Comune andavano a casa. Non percepiva una lira e quello che la mamma gli metteva in tasca, lo dava a chi ne aveva bisogno. Il 18 aprile del ’48 alle elezioni politiche il Fronte Popolare venne sconfitto dalla Democrazia Cristiana. L’amministrazione Scotellaro (16 seggi su 20) fu costretta a dimettersi. In quella occasione Rocco scrisse una poesia fra le più pessimiste della su vita. è intiolata “18 aprile pozzanghera nera”. Dice fra l’altro: ..I padroni hanno dato da mangiare/ quel giorno, si era tutti fratelli,/ come nelle feste dei santi/ abbiamo avuto il fuoco e la banda./ Ma è finita, è finita, è finita/ quest’altra torrida festa/ siamo qui solo a gridarci la vita/ siamo noi soli nella tempesta/…. I portoni ce li hanno sbarrati / si sono spalancati i burroni. / Oggi ancora e duemila anni /porteremo gli stessi panni./ Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / le maschere coi denti.

Rocco Scotellaro scriveva poesie dal 1940, all’età di 17 anni. La prima, che fece leggere all’amico Rocco Mazzarone, dice: M’accompagna lo zirlio dei grilli/ e il suono del campano al collo/ d’una inquieta capretta./ Il vento mi fascia di sottilissimi nastri d’argento/ e là, nell’ombra delle nubi sperduto/ giace in frantumi un paesetto lucano.

Nella sua poesia raccontava il suo mondo, quello dei contadini. Durissimo. Alle prese, già all’epoca, con il caporalato: All’alba stiamo zitti/ nelle piazze per essere comprati,/ la sera è il ritorno nelle file/ scortati dagli uomini a cavallo/ e sono i nostri compagni la notte/ coricati all’addiaccio con le pecore.

Venne rieletto sindaco il 28 novembre 1948. La sua azione politica fu dirompente in una regione nella quale al referudum il 60% degli elettori aveva votato per rimanere sotto la monarchia. La reazione della classe dirigente, che si era formata sotto il fascismo, non si fece attendere. Nel mezzo della battaglia per l’assegnazione delle terre ai contadini Scotellaro venne accusato ingiustamente di concussione. Fu arrestato l’8 febbraio 1950 e rinchiuso nel carcere di Matera. Dopo 45 giorni, in istruttoria, venne pienamente assolto e reintegrato al suo posto di sindaco. Provato da quella esperienza preferì dare le dimissioni il mese successivo, il 20 aprile 1950. Tre anni dopo, mentre lavorava all’Osservatorio agrario di Portici, dove era stato chiamato da Manlio Rossi Doria, morì di infarto. Aveva 30 anni.

Carlo Levi vedeva in lui il riscatto del Mezzogiorno. Per l’impegno civile e la passione politica gli ricordava Piero Gobetti. Dell’amico torinese Levi si considerava un discepolo, di quello lucano il fratello maggiore. Si impegnò molto per far conoscere la sua opera, che ancora non era stata pubblicata. L’anno successivo alla morte, nel 1954, Rocco Scotellaro vinse il Premio Viareggio con la raccolta è fatto giorno, edita da Mondadori. Il 16 ottobre 1954 Eugenio Montale sul Corriere della Sera scrisse che le poesie di Rocco Scotellaro “rimarrano certo fra le più significative del nostro tempo”. Ed è stato ancora Carlo Levi ad occuparsi della tomba dell’amico di Tricarico, finanziata da Adriano Olivetti. è costruita dallo studio BBPR di Milano, composto da architetti antifascisti che pagarono un duro prezzo sotto l’occupazione nazifascista. Le nostre visite a Tricarico – quattro, forse cinque – cominciano sempre al camposanto. La tomba di Rocco Scotellaro, che ricorda quella di Carlo Levi ad Aliano a una trentina di chilometri di distanza, si affaccia sul Basento, il fiume e la valle citata più volte nelle poesie di Rocco. Due blocchi di pietra formano una finestra, attraverso la quale si intravede questo lembo di Lucania. Sulla pietra è scolpita una poesia di Scotellaro: Ma nei sentieri non si torna indietro/ altre ali fuggiranno/ dalle paglie della cova/ perché lungo il perire dei tempi/ l’alba è nuova, è nuova.

Di questa grande e sincera amicizia resta un quadro che Carlo Levi ha realizzato per il centenario dell’unità d’Italia. E il dipinto più grande che l’artista torinese, sbattuto al confine nel 1935 ad Aliano dove è sepolto, ha realizzato: 18 metri e mezzo per tre e venti. è la storia della Basilicata attraverso la vita di Rocco Scotellaro. Nell’opera sono raffigurate 160 persone, fra le quali anche lo stesso Carlo Levi, ma anche Saba, Guttuso, Mazzarone, Nitti, Zanardelli, Giustino Fortunato. In alto a sinistra c’è la tomba di Rocco Scotellaro, e ancora lui da morto, lui da ragazzo, lui che tiene un comizio in piazza. Quando si guarda questo quadro, realizzato nel 1961, ci si rende conto che i contadini raccontati da Carlo Levi nel Cristo si è fermato a Eboli sono gli stessi che si ritrovano nelle poesie di Rocco Scotellaro. Anzi Italia ‘61, come si chiama questo dipinto esposto a Palazzo Lanfranchi a Matera, è la trasposizione pittorica del Cristo si è fermato a Eboli. E il Cristo, ha scritto Rocco Scotellaro nell’Uva puttanella: “è il più appassionato e crudele memoriale dei nostri paesi. Ci sono parole e fatti da far schiattare i signori nel sonno e sempre per la forza della verità ci sono morti e lamenti da far impallidire i santi martiri”.

La poesia di Rocco Scotellaro è unica. Rarissimo, quasi introvabile, era fino all’autunno scorso, la raccolta con la quale vinse il Viareggio: è fatto giorno. Poi, dopo molti anni, è stato finalmente ristampato. Rcemultimedia di Napoli ha pubblicato Poesie in ordine cronologico (339 pagine, 18 euro), mentre la Mondadori, negli Oscar, ha stampato Tutte le opere (800 pagine, 28 euro), comprese alcune pagine inedite.