Una fiammata di arance

| | |

Ricette e libri della spesa di donne (triestine) in guerra 1938-1945

nel più recente lavoro di Diana De Rosa

di Marina Silvestri

 

C’è qualcosa di assurdo e surreale nel leggere a distanza di decenni come veniva vissuta la quotidianità in tempo di guerra. La cronaca ‘in diretta’ ci viene restituita dalle pagine di diari nei quali tutto si mescola: la nota della spesa, le notazioni sul tempo atmosferico, gli appuntamenti, gli anniversari, la memoria degli allarmi aerei e dei bombardamenti. Ne tratta l’ultimo libro di Diana De Rosa, autrice di preziosi lavori sulla storia minuta della città; si intitola Una fiammata di arance. Ricette e libri di spesa di donne (triestine) in guerra 1938-1945. Comunicarte Edizioni, Trieste 2016 (Euro 19.00, p. 168).

Le fonti sono i ‘Libri di spesa’ della madre della signora Anna Mecchia e della madre degli architetti Carlo e Luciano Celli. Quello di segnare ogni voce dell’economia familiare era una “antica consuetudine” – scrive Diana De Rosa nell’introduzione – Si conoscono libri di spesa appartenuti a conventi, a famiglie aristocratiche, borghesi e contadine; essi rappresentano delle fonti importanti, quanto rare, per la conoscenza della vita economica e sociale del soggetto che lo ha prodotto e della comunità e territorio di appartenenza”.

Il libro della De Rosa è costruito attraverso gli appunti di Carla e di Bruna. Carla, rimasta vedova con la figlia Anita che abita in Barriera, nei pressi dell’Ente di Assistenza; donna di buona cultura, che scrive – così la presenta l’autrice – “con una calligrafia chiara e ordinata, in modo meticoloso e preciso, in un italiano privo di qualsiasi intrusione dialettale, che denuncia i suoi studi ginnasiali e una cultura che si manifesta nell’acquisto dei giornali, nell’andare a teatro e al cinema”. Bruna invece, vive con il marito e due figli di otto e quattro anni in centro città vicino alla chiesa di S.Antonio. Bruna “è una donna semplice, con un cultura più limitata rispetto al marito, avendo fatto solo le scuole popolari, e questo fatto si nota nella scrittura: a volte il dialetto, fa degli errori […] si permette qualche volta una permanente, preferisce ascoltare alla radio le commedie, ma manda i bambini a teatro agli spettacoli per ragazzi, preferisce soprattutto andare al caffè o fare passeggiate con il marito ed i figli”. Chiamerà il diario, Libro di famiglia ”riconducendolo così ad una dimensione più intima”. Diana De Rosa chiosando i materiali proposti riesce a dilatare l’universo domestico delle due donne al contesto sociale e culturale di quegli anni, anni di disorientamento, paura, e restrizioni economiche, nonché surrogati come il malto Kneipp. Le ricette di cucina trascritte o ritagliate dai giornali sono sintomatiche del clima, prima di autarchia con la ricerca di adoperare prodotti rigorosamente nazionali, risparmiare condimenti e combustibile che appaiono “gustose e con varianti rispetto a ricette note con riferimenti a una cucina di impronta tradizionale e popolare dove compaiono più ingredienti, e spesso ciò che si aveva o che avanza veniva cucinato per formare un piatto unico; poi i razionamenti del tempo di guerra costringono ad ‘inventare’ piatti che suppliscano all’assenza di carne, pesce, farina bianca, burro, olio, zucchero quando “l’andamento degli acquisti appare meno ricco di generi alimentari, mentre sempre più frequenti sono le annotazioni relative ai generi tesserati”. E poi gli stratagemmi per risparmiare combustibile come la cosiddetta cassetta di cottura: “una comune cassetta di legno riempita di materie isolanti come trucioli di carta, pezzi di giornali compressi, segatura di legno e cuscinetti di lana, entro cui inserire una pentola perfettamente sigillata dal materiale isolante e poi dal coperchio della cassetta”. Le pentola giunta ad ebollizione veniva inserita nella cassetta e continuava così la cottura.

I Diari di Carla sono a loro volta dei documenti trattandosi della pagine giornaliere del Libro Cirio con ricette per valorizzare l’italianissimo rosso pomodoro e gli ortaggi dell’italico suolo, e negli anni seguenti del Libro per la casa di Richard Ginori , poi semplici quaderni scolastici e righe, con la copertina nera. Molte le ricette propagandate da quelle che all’epoca erano ritenute “le signore della cucina, come Lidia Morelli, ossia donna Clara, Lunella De Seta e la mitica Petronilla alle quali il regime fascista aveva delegato il compito patriottico di far apparire gustose le ricette dei tempi di guerra”, e Ada Boni “considerata la signora fra le signore della cucina italiana, autrice del Talismano della felicità, ma naturalmente e compatibilmente con ciò che offre il mercato non mancano i piatti della cucina triestina di Maria Stelvio, soprattutto nei giorni di festa. Mentre a guerra finita sotto il Governo Militare Alleato a Trieste entra nelle case anche la cucina europea e internazionale con i soufflé, le mousse i gateau. Il libro è corredato, come tutte le belle edizioni di Comunicarte da immagini e disegni tratti dalla fototeca dei Civici Musei di Trieste, dall’Archivio di Stato e dall’archivio di Claudio Ernè; ci sono inoltre riproduzioni dai giornali Il Piccolo, Adria Illustrierte, Mani di fata, dai libri L’arte della massaia, Il Giuoco della protezione antiaerea, Cirio per la Casa, Piatti per sognare di Richard Ginori, Ricettario autarchico, Il giornalino di Mastro Remo.

Un’interessante disamina in cui ciascuno riconosce anche i buoni sapori di un tempo, tempo parsimonioso che a prescindere dagli stenti, appare – in questo nostro presente di sprechi alimentari, sapori omologati e master chef – come intelligente scuola di sobrietà e fantasia culinaria.

Nei Libri, accanto alle spese sostenute per l’andamento della casa trovava spazio la cronaca familiare e la cronaca cittadina che venivano registrate a volte senza enfasi altre con commenti partecipati e preoccupati. Si legge ad esempio nel diario di Carla: “mercoledì 8 maggio 1940, supplica alla Madonna di Pompei: calze Ermanno, pesce cena (sardoni), 1/4 burro, formaggio Parma, 4 uova a cent. 65, 1 Kg mele tavola, 1 Kg piselli di Capodistria, 1/2 arance, 172 Kg spinaci, 2 limoni, radicchio, fiori per la Madonna, pane extra, candele ed elemosina, erbe per frittata; oppure, lunedì 10 giugno 1940, discorso del Duce per la dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra: 1/4 carne colazione, 20 cent. osso, 1/4 sottofiletto cena, lavanda, “Vigor” per la biancheria, 4 uova, 1Kg ciliegie, radicchio, 1 etto uva di San Giovanni, pane settimana, 1 1/2 piselli a 1.20.” Leggendo le pagine sia di Carla che di Bruna si rivive l’angoscia dei ripetuti allarmi aerei del 1944 e la tragedia dei bombardamenti che colpirono Trieste da giugno a settembre provocando vittime e feriti: “Sabato 10 giugno, carne. Quante brutte cose devo scrivere, che giornate memorabili, Trieste bombardata e in che modo, Dio mio, Dio mio, che disastro, quante vittime. Madonna ti ringrazio, noi tutti salvi, non avrei mai pensato di vedere cose simili, cosa sarà di noi. Dio mio salvaci, salva i miei bambini, il mio Ernesto e tutti i miei. Domenica 11, fazzoletto, verdura. Quanta tristezza, pioggia tutto il giorno, sembra che la natura pianga su tutto questo disastro. Lunedì 12, verdura, patate, vino, uova, assicurazione. Sono disperata, sempre peggio, sento dappertutto dolori, rovine, quanti morti, quanti senza tetto…”

Giorno dopo giorno si toccano con mano le vicende di quegli anni a Trieste, e la testimonianza diretta rompe il ghiaccio del crudi dati storici. Diana De Rosa ne fa tesoro per ripercorrere i fatti che hanno segnato quegli anni: la sensibilità di queste due donne diverse per cultura ed estrazione sociale ce li restituisce da angolazioni private che testimoniano quello che era il comune sentire della popolazione. Perché la soggettività femminile, che non scinde il pane dalla politica, è sempre una bella lezione di storia.