Una rilettura informata

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Tomaso Montanari conduce un’analisi critica delle cinquanta parole che compongono l’articolo 9 della nostra Costituzione

di Walter Chiereghin

 

 

Una felice scelta dell’editore Carocci ha dato luogo alla pubblicazione di 12 volumetti, ciascuno dedicato a uno degli articoli collocati in apertura della nostra Costituzione, identificati come Princìpi fondamentali. Altrettanto felice la scelta di affidare a uno storico dell’arte una riflessione sull’articolo 9 e in particolare di assegnarne l’incarico a Tomaso Montanari, che della materia si è più volte occupato, pubblicando – tra molto altro – alcuni libri quali Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Ed. Gruppo Abele, 2017, del quale ci siamo a suo tempo occupati: v, Il Ponte rosso n. 25, giugno 2017), Contro le mostre, con Vincenzo Trione, (Einaudi, 2017, anch’esso recensito su Il Ponte rosso n. 34, maggio 2018). Ma naturalmente il suo impegno di intellettuale non si limita certo a questa così sintetica bibliografia.

Questo suo Costituzione italiana: articolo 9 è in effetti la terza edizione del saggio del 2018, resasi necessaria dopo che è stato aggiunto un ulteriore comma con la legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 («Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente»).

Montanari, nella sua ricognizione critica del testo costituzionale, parte dunque dalla ricostruzione storica del dibattito che alla Costituente riguardò i contenuti di quello che alla fine risulterà essere l’articolo 9, di cui fu protagonista Concetto Marchesi, del gruppo PCI e relatore, assieme ad Aldo Moro, sulla materia, che s’ispirò al testo della Costituzione della Repubblica di Weimar del 1919, per richiamarne due aspetti essenziali: «l’endiadi “arte e natura” e l’idea che il potere pubblico debba vigilare anche sul patrimonio di proprietà privata (evidente nel riferimento all’esportazione, esplicito nel testo tedesco, implicito nella proposta Marchesi)» (pp. 8-9). La posizione espressa da Marchesi non era però condivisa dal presidente della Prima sottocommissione che si occupava della materia, il dc Umberto Tupini, che non rilevava la necessità di inserire nella Costituzione l’argomento della tutela di “antichità e belle arti” e dell’ambiente. Dal dibattito e dalle successive deliberazioni della Sottocommissione, che non assecondò le perplessità del suo presidente, emerse presto un altro elemento essenziale. Visto che altrove, nei lavori di un’altra parallela Sottocommissione, la Seconda, ove si elaborava l’ordinamento dello Stato e delle autonomie, si elencavano tra le altre materie destinate a divenire di competenza regionale, anche «antichità e belle arti, archivi e deputazioni storiche [al punto 3 di una bozza di articolo proposto dal costituzionalista DC Costantino Mortati ndr] e turismo e tutela del paesaggio, industria alberghiera [al successivo punto 4]». La formulazione proposta da Mortati e avversata invece – con successo – da Umberto Nobile, l’esploratore polare eletto come indipendente nelle liste del PCI, sulla base della constatazione che sarebbe «assurdo supporre che in un paese come l’Italia le antichità e belle arti possano riguardare solo le regioni».

L’incursione nei lavori dell’Assemblea Costituente, appena sfiorata in questa nostra recensione, assai più approfondita invece nel testo di Montanari, è funzionale a chiarire alcuni punti essenziali per quanto attiene all’interpretazione del dettato costituzionale. Oggi, nel dibattito politico circa le riforme che intendono procacciare ulteriori autonomie alle Regioni, istituite nel 1970, torna ad essere di scottante attualità il dibattito in seno alla Costituente, ove si pensi ai più o meno espliciti disegni, da parte di alcune Regioni, di veder inclusi nei proprio organici quelle Soprintendenze che – almeno finora – hanno costituito un riferimento (anche se non sempre un baluardo) per la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico.

«Uno dei nodi principali da sciogliere nella lettura del comma 2° è stata l’interpretazione della parola “Repubblica”» (p.41): se con essa cioè s’intendesse lo Stato come apparato centrale o non piuttosto tutto il sistema istituzionale, ivi comprese le autonomie locali di ogni ordine. Attorno a questa duplicità d’interpretazione del testo costituzionale si è sviluppato un accanito contrasto, tuttora irrisolto, tra una visione centralista ed un’altra, opposta, autonomista, che ha preso maggior vigore a partire dalla revisione del Titolo V della Carta, approvata nel 2001, sotto la pressione del partito che stava indicando, all’epoca, la via del separatismo alle regioni del Nord.

Montanari, si sa, non è un costituzionalista, ma uno storico dell’arte e la competenza critica che anche in questo articolato saggio mette in campo non è mai disgiunta da riflessioni che evocano efficacemente suggestivi collegamenti e richiami, è così che viene proposto al lettore un antecedente dell’articolo 9 che risale al 1519: la Lettera a Leone X, scritta da Raffaello Sanzio con la collaborazione dell’amico Baldasar Castiglione al papa allora regnante, Giovanni di Lorenzo de’Medici. L’Urbinate, per incarico del pontefice, aveva diretto un ambizioso progetto di ricognizione e documentazione in pianta e, per alcuni fabbricati, in alzato della città antica, che intendeva censire e descrivere dettagliatamente gli edifici della Roma imperiale e le tracce di essi ancora esistenti all’epoca. Si trattava di «qualcosa – osserva Montanari – che aveva perso la sua funzione storica e pratica e che ne aveva quindi assunto un’altra, puramente culturale».

Dopo aver legittimato se stesso come studioso della materia, Raffaello esprime una sua macabra considerazione sullo stato in cui versavano all’epoca le vestigia della grandezza di Roma: « […] penso haver conseguito qualche noticia de la architettura anticha. Il che in un punto mi dà grandissimo piacere, per la cognitione di cosa tanto eccellente, e grandissimo dolore, vedendo quasi el cadavero di quella nobil patria, che è stata regina del mondo, così miseramente lacerato».

E quindi prosegue, identificando i colpevoli di quell’intollerabile stato di cose: «Ma perché ci dolerem noi de’ Gotti, Vandali et altri tai perfidi inimici, se quelli li quali come padri e tuttori deveano deffendere queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a destruerle? Quanti pontifici, Padre Santissimo, quali haveano medemo officio che ha Vostra Santità, ma non già el medesimo sapere, né il medemo valore e grandezza d’animo, con quella clemenza che vi fa simile a Dio: quanti, dico, pontifici hanno atteso a ruinare templi antichi, statue, archi et altri aedifici gloriosi!».

Nessun riguardo dunque nei confronti del potere, individuato come continuatore delle demolizioni e dei saccheggi dei barbari. Ed esaurita, con estrema sintesi, l’analisi della situazione che gli era contemporanea, il mittente passa a un’esplicita esortazione al pontefice, quasi il dettato di ciò che deve divenire un requisito non secondario dell’azione di governo: «Non debe adunque, Padre Santissimo, essere tra li ultimi pensieri di Vostra Santitate, lo haver cura che quello poco che resta di questa anticha madre de la gloria e grandezza italiana, per testimonio del vallore e della virtù di quegli animi divini, che pur talhor con la memoria sua excitano alla virtute li spiriti che hoggi dì sono tra noi, non sii estirpato e guasto dalli maligni et ignoranti; che pur troppo, si sono insino a qui fatte iniurie a quelle anime che col suo sangue parturiro tanta gloria al mondo».

Una magnifica anticipazione di alcuni contenuti nel nostro articolo 9: il concetto di tutela, del quale deve farsi carico lo Stato, come pure il riferimento alla Nazione, che in Costituzione viene citato per la prima volta.

E ancora non abbiamo detto di più della metà di questo libro da leggere e da rileggere, per ogni eveninza.

 

Tomaso Montanari

Costituzione italiana:

articolo 9

Carocci, Roma 2022

  1. 156, euro 14,00