Una triestina nell’alta moda

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Gaetano Castellini Curiel ha dedicato una biografia romanzata alla sua celebre e affascinante nonna Gigliola Curiel, stilista triestina dei vip milanesi negli anni Sessanta e Settanta

di Gabriella Ziani

 

Ogni vita è un romanzo, così diceva una signora triestina che era lei stessa un romanzo di avventure e sventure proprie e della sua vasta rete di parentele di sangue e acquisite, fra le quali la storia aveva fatto strage, ma seminato anche fortune e ricchezze. Ma è sempre vero il contrario? E cioè che si possa “romanzare” una vita? Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non è garantito, e lo dimostra l’assai discusso docu-film di Raiuno su Leonardo da Vinci, con episodi biografici, e non da poco, inventati e aggiunti dagli sceneggiatori per condire di pepe i fatti reali a disposizione: se non “sembra” un romanzo a tinte forti, un thriller di moda, che vita è? O meglio: che film è? L’audience val bene un po’ di fattacci aggiunti (dicono loro, e ci scandalizzano a sufficienza). Viceversa dalle biografie romanzate in letteratura ci si può attendere un soddisfacente risultato a due condizioni, almeno: che lo spunto (primo caso) venga da un importante dettaglio, per illuminare il quale è lecito costruire una storia solida e coerente capace di restituirgli senso e importanza (Casa Tyneford di Natasha Solomons, Neri Pozza 2020, per fare un esempio); oppure (secondo caso) quando si parta da un soggetto arcinoto – Miss Austen secondo Jill Hornby, Beat 2020, o Le ospiti segrete di John Banville, Guanda 2020, per fare anche qui solo qualche esempio – e si metta in campo una notevole abilità narrativa per ri-raccontare secondo altri punti vista, ma senza nulla alterare dei dati storici. Più incerto è l’esito scegliendo di presentare un personaggio ancora praticamente ignoto nella forma di romanzo: è possibile che ci sia, alla fine, un di più, in tutti i dialoghi e le ambientazioni frutto di fantasia, e un di meno, nell’approfondimento documentato dei fatti, quello che è proprio di una biografia propriamente detta. E un lettore che legga per informarsi come può distinguere con certezza il vero dal falso? Il rischio di confondersi c’è, quando si veleggia nel verosimile.

Son pensieri che vengono a proposito della “biografia romanzata” che Gaetano Castellini Curiel ha dedicato alla sua celebre e affascinante nonna Gigliola Curiel, stilista triestina dei vip milanesi negli anni Sessanta e Settanta. La scelta di “romanzare” ci regala dettagli, dialoghi, descrizioni e scene d’ambiente e familiari per forza di cose immaginate, magari anche con gusto e sapienza, ma ci pare che lasci per strada capitoli di storia. A partire dal fatto che il sottotitolo, Una vita nella moda, dispiega il proprio racconto appena negli ultimi succinti capitoli (il successo professionale e mondano), e per tre quarti la narrazione riavvolge gli anni triestini della famiglia e soprattutto il drammatico periodo della guerra e delle persecuzioni razziali, quando Gigliola dovrà trovare rifugi e pericolosi nascondigli per scampare ai tedeschi, mentre suo fratello Eugenio, due volte ricercato (come ebreo e come attivista nella Resistenza) dopo gli anni di confinamento all’isola di Ventotene perderà la vita a Milano nel febbraio del 1945, intercettato per strada e colpito a morte dalle Brigate nere (è medaglia d’oro al valor militare).

È dunque una storia importante, quella dei Curiel, che comincia a Trieste, con la famosa sartoria di Ortensia situata in via San Nicolò, sopra la libreria di Umberto Saba. La travolgente passione di Gigliola ancora bambina per stoffe e modelli nascerà nelle stanze di quella zia. Il declino economico della famiglia causato dalle conseguenze del crack mondiale del ’29, e soprattutto la promulgazione delle leggi razziali nel 1938, sfrangeranno tutto il nucleo e disperderanno i figli di Giulio Curiel (che di Ortensia è fratello, e che muore nel 1939) e di sua moglie Lucia: Eugenio va a studiare a Firenze, Sergio all’estero con l’intento di far fortuna nell’import-export, Grazia si sposa e si trasferisce a Milano, e pure Gigliola sposa un commerciante di pellami ma sarà un matrimonio destinato a finire ancor prima che nasca la figlia Raffaella, a sua volta diventata poi regina della haute couture – testimone che ha passato alla figlia, che di nome fa proprio Gigliola, la quale ha una figlia, che di nome fa Ortensia…

È con coraggio, determinazione, astuzia e fra mille rischi che Gigliola – che già prima delle fughe andava in giro per sartorie a offrire i propri figurini – trova gli aiuti necessari a scampare al pericolo. Prima Milano, dalla sorella, poi Gardone Riviera, dove nasce Raffaella. Ma il luogo diventa sede della Repubblica di Salò, e bisogna abbandonarlo. Coi i buoni uffici di una disinvolta nobildonna in confidenza con alti gradi fascisti entrerà con falsi documenti all’Hotel Plaza a Roma, sede dei nazisti: nella bocca del lupo. Grazie al cognato, forte di legami con la nobiltà romana, anche la madre e Grazia sono al riparo. Ma le buone maniglie non mancano: Gigliola otterrà prestiti in denaro dal Vaticano, ci racconta il nipote, sfruttando il fatto che il medico del Papa è cugino di suo marito. L’ultimo periodo, dal ’43 al ’45, è tutto una tragedia: il fratello Sergio torna di nascosto dall’Albania, scopre che la famiglia è segnalata e presto verrà presa dai tedeschi, organizza una  fuga in Umbria dove sta l’amico con cui egli stesso è fortunosamente rientrato in Italia, quel Nino di cui Gigliola s’innamora, dal quale avrà una seconda figlia, Gabriella, nata quando l’uomo, nel 1949, si è già dileguato all’estero. Entrambi formalmente ancora sposati, aleggiava sulla coppia il discredito sociale, e con questa scusa il compagno prende il volo.

Aveva «la consapevolezza di potersi salvare da sola» scrive Gaetano Castellini Curiel. Da sola (con l’aiuto di una fidatissima tata) aveva portato in salvo Raffaella, da sola si preparò a crescere Gabriella, e così da sola nella primavera del 1945 aprì il suo primo atelier nella lussuosa via Durini a Milano, a pochi metri dalle case di Biki, di Wally Toscanini e altri bei nomi dell’alta società. Si sposterà poi in via Borgogna. Il suo salotto è frequentato da Buzzati, Montanelli, Tronchetti Provera, e una giovane Marta Marzotto è fra le sue modelle. È una donna affascinante e carismatica. Nel 1951 governa centoventi sarte, tra le sue clienti le Bulgari e le Visconti di Modrone, mentre l’evento mondano clou di Milano, la prima della Scala, è tutto punteggiato dei suoi abiti sontuosi indossati dalla danarosa borghesia milanese.

Non si ferma: prende contatti con Dior a Parigi, compra cartamodelli, già in precedenza si era ispirata alle rivoluzionarie linee-tubino di Coco Chanel (e prima dei tragici eventi di guerra era riuscita con astuzia a presentarsi a Micol Fontana), organizza la prima sfilata, sigla accordi negli Usa con Bergdorf Goodman per vendere abiti ai grandi magazzini, una prima volta assoluta. È in vetta all’alta moda. La figlia Raffaella (mamma dell’autore), che all’inizio ha stentato a ottener fiducia da una madre così “totale”, ha poi esaltato il marchio con pari capacità, eleganza ed energia (da qualche anno, però, la ditta è quasi interamente di proprietà cinese…).

Una bella storia, che l’autore scandisce per brevi capitoli dal 1925 al 1966. Una storia di cui a Trieste nessuno si è mai occupato seriamente. Onore dunque al nipote Gaetano Castellini Curiel, che non ha mai conosciuto la nonna, morta nel 1969 a soli 50 anni. Però il “romanzato”, pur gradevole, mostra alcuni suoi limiti. Suggestive le descrizioni della Trieste d’anteguerra, ma del papà dei giovani Curiel, Giulio, si ricostruisce il ramo di provenienza (ebrei scappati dalla Spagna al tempo della cacciata di Isabella la Cattolica), si dice che morì nel ’39 per le conseguenze del diabete, ma si omette la professione: era ingegnere navale ai Cantieri San Marco. Di Eugenio vengono ripercorse le fughe in Svizzera e le attività clandestine antifasciste, ma poco si dice della sua importante attività di studioso (Ingegneria a Firenze, poi al Politecnico di Milano, quindi a Fisica a Firenze, laureato in Fisica teorica a Padova) e quasi nulla della sua attività di teorico della sinistra per cui ancora oggi è tenuto in alta considerazione. Della mamma di Gigliola e dei suoi fratelli veniamo a sapere solo il nome di battesimo, Lucia, non che era sorella del filosofo Ludovico Limentani, docente all’Università di Firenze, lo zio che ospiterà Eugenio durante il suo periodo di studio. Al contrario è in dettaglio ricostruita la avventurosa vicenda biografica della tata Maria che accudì Raffaella.

E nell’immediato dopoguerra con quali soldi Gigliola approda in via Durini? Come trova lavoro e lavoranti? Com’è il mondo economico in piena crescita nella Milano del dopoguerra, quali sono i passi per arrivare alla prima vera sfilata? Chi aiuta Gigliola,  al di là del fatto che Castellini in un’intervista si è lanciato a dire che fu «grazie alla lobby ebraica» che prese contatto con i grandi magazzini statunitensi? Lobby ebraica è un termine a favore o contro? E che cosa è stato della madre, di questa Lucia che rimane tanto in ombra?

Le biografie “romanzate” corrono il rischio di scivolare verso una consistenza soft, anche se per la Curiel è stata fatta una notevole operazione di dissodamento, e il libro è corredato da una ricca galleria fotografica. Resterà importante, e magari un giorno darà i suoi frutti maturi, con un saggio sodo, documentato, che ci dica tutto, e di tutti, e soprattutto ci spalanchi il dritto e il rovescio della “vita nella moda”.

 

Gaetano Castellini Curiel

Gigliola Curiel. Una vita nella moda

Le Lettere, Firenze, 2020

  1. 213, euro 16,50