Una Venezia mai vista così

| | |

La grande e originale mostra di Mario Peliti a Palazzo Grassi

di Michele De Luca

Una Venezia (la città più fotogenica e fotografata del mondo), come non l’abbiamo mai vista. È possibile ora vederla in una mastodontica immersione visiva nelle sale di Palazzo Grassi in una mostra curata da Matthieu Humery, conservatore presso la Collection Pinault, che, in una sequenza di inesauribile curiosità e di fascino discreto ci fa percorrere una vera e propria passeggiata nella superficie di quel “pesce” in cui si suole identificare il profilo stilizzato della città lagunare; dove lo sguardo viene in qualche modo distratto da quella che è una visione che punta alle superlative bellezze architettoniche e artistiche che si incontrano in una ormai veloce e stereotipata escursione turistica, e non solo (il discorso vale anche per i veneziani), per veder emergere i lati più “nascosti” o sorvolati. Una “passeggiata” dunque, meno frettolosa, ma più lenta e meditativa, che ci riserva sorprese e meraviglie, emozioni mai provate.

“Hypervenezia” – questo il titolo dalla mostra – offre, in un allestimento immersivo e coinvolgente, di circa quattrocento foto che ripercorrono un ideale itinerario per i sestieri di Venezia, oltre ad un’installazione video di oltre tremila immagini e una mappa di Venezia composta da un mosaico di circa novecento immagini che offrono una panoramica della città. Il poderoso e originale lavoro di ricognizione fotografica porta la firma di Mario Peliti, raffinato editore, fotografo (è questa la sua prima mostra in tale veste) e gallerista. Il quale a partire dal 2006 ha iniziato con le sue fotografie una mappatura della città con l’obiettivo di formare un immenso e organico archivio destinato a conservarne per i posteri la memoria del suo complesso tessuto urbano alle soglie del terzo millennio.

In una interessante intervista rilasciata a Manuela De Leonardis per “Artapartofculture.net” l’11 maggio 2016 spiegava così il senso e lo scopo del suo progetto, allora già in fase di attuazione: «Il mio è un progetto su un desiderio velleitario, quanto inappagabile. Noi non vediamo ciò che ci si presenta davanti agli occhi, ma quello che abbiamo deciso di voler vedere. Venezia, ad esempio, è piena di edifici degli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 disseminati in giro per la città, ma non li vediamo perché vogliamo vivere suggestioni gotiche, rinascimentali, magari barocche. Anche solo guardando l’evoluzione che c’è stata dal dopoguerra ad oggi è evidente che le grandi aree verdi della città, dove c’erano gli orti, non esistono più. E’ stato edificato tutto. Il mio obiettivo, perciò, è rendere in maniera organica la rappresentazione della città con tutta la sua stratificazione».

Dapprima in pellicola e poi in formato digitale, il progetto è stato avviato nel 2006 ispirato al rigore metodologico e formale delle grandi campagne dei maestri dell’Ottocento e del Novecento – da Charles Marville a Eugène Atget, da Gabriele Basilico a John Davies – al fine di restituire una visione, la più completa possibile, della città come appare all’inizio del terzo millennio.«Le fotografie, a oggi oltre dodicimila, sono scattate seguendo il medesimo procedimento di ripresa: in bianco e nero, senza ombre portate e in assenza di persone; soluzioni, apparentemente secondarie, che permettono di dare omogeneità temporale alla percezione della città, a cominciare dalla luce, che rende visibili tutti i dettagli delle facciate, anche i meno rilevanti, e la mancanza di persone costringe l’osservatore a riflettere sul possibile destino della città: una città senza abitanti. Al tempo stesso il silenzio che pervade migliaia di fotografie offre a Venezia stessa la possibilità di mostrarsi nella sua articolazione urbanistica e architettonica. E nel suo fascino assolutamente ineguagliabili, con le infinite suggestioni ed evocazioni storiche e culturali».

Le superbe emergenze monumentali della città lagunare non sono mai in primo piano, si vedono di sfuggita, a volte nemmeno riconoscibili, per spostare la visione di ciò che è loro contiguo, anonimo e (quasi) mai messo a fuoco dagli occhi dei passanti. Prospettive insolite, “spericolate” inquadrature: la Fenice vista dal retro, Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco appena di scorcio, l’Arsenale ci appare non nella sua gloriosa maestosità, ma nei suoi aspetti più degradati, lungi da una visione onirica, ma certamente in quella più realistica e, in fondo, più “vera”. Non solo, lo sguardo di Peliti non privilegia certo il centro storico, ma si allarga verso quelle che possono chiamarsi le “periferie” di Venezia, o comunque verso la Venezia del Novecento, dal mercato del pesce di Tronchetto alle recenti costruzioni alla Giudecca, intorno a Piazzale Roma e Cannaregio, fino alla bellissima isola di Sant’Elena, che si trovava in uno stato di totale abbandono dall’epoca dell’invasione napoleonica, e tornata a rifiorire con un forte intervento di urbanizzazione dopo la fine della Grande Guerra (di cui c’è eco nei “ninzioleti” della sua toponomastica). Qui il fotografo non può che cedere alla tentazione di offrirci un’immagine che potrebbe aver scattato un turista qualsiasi: quella di una panchina che si offre a chiunque voglia perdersi a guardare sul bacino di San Marco.

Peliti (Roma, 1958), architetto di formazione, è editore e gallerista. Ha fondato nel 1986 Peliti Associati, inizialmente studio di progettazione grafica, poi casa editrice, e dal 2000 anche agenzia di relazioni pubbliche. Ha diretto dal 1995 al 2002 la Galleria Minima Peliti Associati, dedicata alla fotografia d’autore, all’interno di Palazzo Borghese a Roma. Nell’arco di sette anni il piccolo spazio espositivo ha proposto quarantatré mostre presentando opere di Sebastião Salgado, Gianni Berengo Gardin, Gabriele Basilico, Mario Giacomelli, Mary Ellen Mark, Bert Stern, solo per citare i nomi più noti. Ha ideato lo European Publishers Award for Photography (1994-2015), concorso di sei case editrici di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Spagna, finalizzato alla promozione internazionale di autori emergenti. Nel 2013 insieme a Paola Stacchini Cavazza ha aperto la Galleria del Cembalo, dedicata nuovamente alla fotografia e al suo rapporto con altre forme di espressione artistica, sempre all’interno di Palazzo Borghese.

Insomma, questa mostra ci conferma che Venezia non si finisce, e non si finirà mai di conoscerla, dandocene la più convincente riprova. E si può meglio capire allora ciò che diceva Corto Maltese: «Venezia sarebbe la mia fine!».

Marco Peliti

Venezia, Convento di

San Francesco della Vigna,

2020