Una vita di Guy de Maupassant

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“La vita, vedete, non è né così bella né così brutta come si crede”

di Luisella Pacco

 

Complice il film che Stéphane Brizé ne ha recentemente tratto (e che a me è molto piaciuto), nei giorni scorsi mi è venuta voglia di leggere Una vita di Guy de Maupassant.

Non dirò “rileggere” (alla Calvino, che sarcasticamente annotava “I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito Sto rileggendo e mai Sto leggendo), non mentirò: non l’avevo mai letto. Dichiaro di più e di peggio: non avevo mai letto nulla di Maupassant, pur conoscendolo per ovvie ragioni di “cultura generale”, quella bizzarra cosa che si nutre (e talvolta persino si sazia) di sentito dire e di brani d’antologia.

Sapevo di avere Una vita nella libreria di casa e dopo il film l’ho cercato. Un Oscar Mondadori che mi giunge da altre persone e da altre mani, e che risale al settembre 1965, l’anno in cui gli Oscar nacquero (la prima pubblicazione era stata, qualche mese prima, Addio alle armi di Hemingway).

Per accompagnare questo articolo, avrei dovuto cercare un’edizione più bella, più nuova, per proporvi la scansione di una copertina più elegante? Forse, o forse no.

La cocente nostalgia – di cui il romanzo, ora lo vedremo, è intriso – è anche questo, e appartiene a me come alla protagonista, Giovanna.

Sì, consentitemi pure di riportare i nomi tradotti in italiano come s’usava allora: così Jeanne è Giovanna, Julien è Giuliano, e persino il filosofo Rousseau è ricordato come Gian Giacomo!

Suona buffo, lo so, ma la traduzione di allora, di Marino Moretti, voleva così. E così sia.

 

Dunque, immaginate Giovanna. È il 1819 quando, diciassettenne, esce dal convento che l’ha vista crescere. Unica figlia del barone Le Perthuis e di sua moglie Adelaide, è pronta a cogliere le gioie della vita.

Le piace la natura, il vento, la terra; il sorgere del nuovo giorno le mette addosso una gioia folle. È il suo sole! È la sua aurora! È il principio della sua vita! È la nascita delle sue speranze! Tende le braccia verso lo spazio radioso […]

E un innamorato? Come non sognarlo, ora che da lei non ci si aspetta altro, che si accasi bene e rapidamente?

L’amore! Da due anni la riempie dell’ansietà del suo muto appressarsi. Ormai è libera d’amare e non le resta più che d’incontrar “lui”. Come, come sarà? Ella non sa, non si chiede. “Egli” sarà “lui”: ecco tutto. Sa soltanto che lo adorerà con tutta l’anima e ch’egli le risponderà con passione. […] passeggeranno sotto il pulviscolo luminoso delle stelle e andranno così, stretti stretti, sentendo il calore delle loro spalle […]

Bastano i primi semplici contatti in società, perché il giovane tanto sognato si materializzi. È lo stesso signor curato, a fine messa, a presentare a Giovanna e sua madre il visconte di Lamare. Giuliano ha quel qualcosa che attrae le donne e infastidisce gli uomini: i bei capelli che si arricciano sulla fronte e gli occhi morati il cui bianco aveva una delicata sfumatura azzurrina. Ciglia fitte e lunghe davano al suo sguardo l’eloquenza della passione…

Dopo solo tre mesi di fidanzamento, Giovanna gli va in moglie. Il viaggio di nozze sulle prime è imbarazzante, faticoso, per la giovane inesperta sposa che non sente alcuna comunione di spirito e di corpo con suo marito. Solo dopo un po’ impara ad amarlo. Giuliano però si rivela da subito per ciò che è, un avido che dopo aver preso i denari della moglie glieli centellina per ogni compera le sia necessaria.

Tornati a casa, la vita coniugale nella casa dei Pioppi (di proprietà dei Le Perthuis) è triste e desolata.

Egli pareva un altro […]; simile a un attore che, recitata la sua parte, riprenda la fisonomia consueta. Appena s’occupava di lei, quasi non le parlava; ogni traccia d’amore scomparsa; rare le notti ch’egli venisse a passare con lei. Or egli aveva preso la direzione della casa e degli affari, e rivedeva i conti, faceva tribolare i contadini, diminuiva le spese e, assunti i modi del gentiluomo di campagna, aveva perduto l’apparenza e l’eleganza d’un tempo, di quand’era fidanzato. […] E aveva anche cessato di radersi, sì che la sua barba lunga e incolta lo rendeva brutto, bruttissimo; né le sue mani eran meglio curate; ma si capiva questa sua negligenza ch’era poi la negligenza stessa di quelli che non han bisogno più di esser belli. E dopo il pasto era capace di tracannare cinque o sei bicchierini di cognac.

Donnaiolo impenitente, Giuliano mette incinta la serva Rosalia a cui Giovanna vuole molto bene (sono “sorelle di latte”) e anche dopo questo scandalo, continua ad avere altre amanti. Morirà in seguito allo scontro con un marito tradito.

Jeanne riversa allora il suo affetto sull’unico figlio Paolo, che cresce viziatissimo sotto lo sguardo della madre, della zia Lisetta e del nonno. La madre Adelaide è già morta (e il suo ricordo è sporcato da rivelazioni infamanti).

Sono anni dolci quieti e noiosi, in cui l’unico pensiero è Paolino (divenuto Pollino per una di quelle storpiature infantili che acquistano dignità di vocabolario), l’unica occupazione è guardarlo crescere segnando con la matita sul muro i progressi della sua statura.

Ma diventato adulto, Paolo non ricambia l’affetto ricevuto. Conduce una vita dissennata, di vizi e guai, fugge in Inghilterra per evitare i creditori, vive con una prostituta.

Giovanna, madre abbandonata, è in preda alla depressione. Paolo le scrive di tanto in tanto chiudendo le lettere con false promesse di visite imminenti e dichiarazioni d’affetto (“Addio, cara mamma. T’abbraccio con tutto il cuore…”). E come capita alle amanti innamorate e cieche, Giovanna, entusiasta per le poche righe ricevute dopo mesi, non si avvede che la sola ragione della missiva è un’altra. Mia cara mamma […] Tu sarai così buona da anticiparmi una quindicina di migliaia di franchi […]. Mi trarrai così da un grande imbarazzo.

Richiesta dopo richiesta, Giovanna si riduce sul lastrico e, rimasta sola dopo la morte di tutti i familiari, è costretta a vendere la residenza dei Pioppi. La attanaglia una struggente nostalgia per i giorni lontani e leggeri, in cui tutto lasciava presagire una vita felice.

Al suo fianco torna Rosalia. Non si vedono da ventiquattro anni. Alla serva, ormai diventata una contadina benestante, la giovane fresca signorina di un tempo appare come una vecchia, avvizzita e stanca.

Si prendono per mano, non esistono più gelosie e rancori. Si confidano a voce bassa, come due sorelle.

“Oh, io non sono stata fortunata. Tutto è andato male per me. La fatalità s’è accanita contro di me”.

Ma Rosalia scoteva la testa.

“Non bisogna dir queste cose. Voi siete stata maritata male, ecco tutto. Non ci si marita a quel modo, senza conoscere bene chi si prende”.

Con l’aiuto di Rosalia, Giovanna recupera una sua fragile serenità. Ma una nuova vera felicità giunge solo dopo la morte per parto della compagna di Paolo. Il figlio, non sapendo dove sbattere la testa per metterla a balia, le affida la bambina.

Giovanna se la strinse al petto, appassionata, furiosa, l’alzò sulle braccia e si diede a baciarla senza remissione, anzi a mangiarla di baci.

Rosalia la fermò.

“Andiamo signora” fece Rosalia brusca brusca, ma in fondo contenta. “Finirete per farla strillare”.

Poi aggiunse, rispondendo senza dubbio ai suoi propri pensieri: “La vita, vedete, non è né così bella né così brutta come si crede”.

Così, con questa frase – quasi sciocca, ma fluida e semplice come l’acqua -, si chiude il romanzo. Romanzo di grandi indimenticabili eventi? No, certo che no. La vita di Giovanna è una vita, una di tante. Poteva esser bellissima, non lo è stata. Poteva esser tragica (come quella di Emma Bovary…), ma infine non è stata nemmeno questo.

Ha avuto senso per Maupassant dedicarsi a raccontarla? Ha senso per il lettore dedicarsi a leggerla?

Io – che, francamente, odio le trame impetuose, gli intrecci veementi, i personaggi incredibilmente forti, le avventure e gli avventurieri, e prediligo invece i dettagli invisibili delle anime tormentate-, io dico di sì.

Una vita è triste, profondo, banale se vogliamo, ma vero. È la reazione a tutte le retoriche romantiche e idealiste. Una vita è un magnifico ritratto di donna, scritto con stile stupefacente, penna compassionevole e immensa dolcezza.