Ungaretti, ancora sul Carso

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Rievocata la prima iniziativa degli ICM attorno la figura del poeta

 

Gli Incontri mitteleuropei furono inaugurati nel maggio del 1966 da un convegno di poesia cui parteciparono poeti di sei Paesi; tra gli altri, per l’Italia, Biagio Marin, Mario Luzi, presidente del convegno, e, ospite d’onore della manifestazione, Giuseppe Ungaretti, che ritornava per la prima volta, dopo mezzo secolo, sui luoghi che lo avevano visto soldato tra i soldati del diciannovesimo reggimento di Fanteria dell’Esercito italiano, impegnato sul fronte dell’Isonzo.

Mariano, Versa, Locvizza, San Martino del Carso, Valloncello dell’albero isolato, Quota Centoquarantuno, Cima Quattro, Vallone sono i toponimi, in parte civili, in parte militari, che segnano a margine, assieme alla data, le più celebri poesie del primo Ungaretti, quelle che confluiranno nel volumetto Il porto sepolto, la prima raccolta pubblicata da Ungaretti, stampata in ottanta copie a Udine per iniziativa di un giovane tenente del Commissariato, Ettore Serra.

Nel ’66 Ungaretti era il decano dei poeti italiani, dopo la scomparsa di Umberto Saba, avvenuta nove anni prima proprio in una casa di cura goriziana, e sopravanzava di otto anni Eugenio Montale e di tre lo stesso Biagio Marin, in certo senso il padrone di casa.

Risulta facilmente comprensibile l’emozione che procurò all’anziano reduce il riaffacciarsi sui luoghi che lo avevano visto, non ancora trentenne, testimone dell’immane carneficina che si consumò su quelle colline. Meno immediatamente comprensibile è l’eco che la sua presenza a Gorizia ebbe nell’opinione pubblica, e il lungo strascico ch quella sua visita produsse, quantomeno negli ambienti colti e in quelli scolastici. La profondità di tale eco si può forse comprendere considerando che l’anziano poeta non si limitò a una visita protocollare e a una costante presenza nella sala in cui si svolse il convegno, ma volle essere accompagnato nei luoghi dove più aspro infuriava cinquant’anni prima il combattimento del quale egli stesso era stato il più formidabile testimone. Così, nell’intervento che scrisse nella notte precedente la sua lettura (e che riportiamo alla pagina seguente), vi è un’eco di quelle memorie frammisto alla speranza che quella che allora si annunciava come una possibilità di pace duratura, della quale il convegno stesso intendeva porsi come un impegno.

Sotto questo profilo, che considerava Gorizia come luogo ideale d’incontro per quello che era la sua storia recente, ma anche perché la posizione geografica la poneva in una posizione centrale rispetto a una quantità di popoli e di culture che le stanno d’attorno, altri avevano già rilevato un felice auspicio, come fece nel suo intervento introduttivo Biagio Marin: “I confini che tagliano l’unità della terra non si scorgono, né dall’alto del Calvario, né dall’alto del castello, e neanche dall’alto del Colle di Santa Caterina al di là del confine. Sono quei confini una tristezza che ieri non esisteva, che forse, in un sia pur lontano domani, non esisteranno. E ciò perché non solo la terra ha qui un aspetto unitario, ma anche perché non si vive per secoli gli uni accanto agli altri, gli uni frammischiati agli altri, senza che un filo d’oro ci colleghi; e anche perché in tutta l’Europa si è risvegliato un bisogno di superiore unità tra i popoli.”

Analoghi auspici di pace e unità furono espressi l’ultimo giorno del convegno da Ungaretti, che, come detto, li aveva scritti la notte precedente, in esito a un suo pellegrinaggio per i luoghi che lo avevano visto fante nella tragedia del primo conflitto mondiale. Quelle sue parole, che accompagnavano la lettura dei suoi testi poetici, si situano a metà strada tra la testimonianza di chi visse e combatté in quell’immane tragedia di cinquant’anni prima e l’indicazione di una possibile via di salvezza, individuale e collettiva, nel riconoscimento di un legame di fratellanza con tutti gli uomini, tale che ancora oggi, trascorso un altro mezzo secolo dalle parole del poeta, ha indotto gli organizzatori delle celebrazioni per i cinquant’anni dell’ICM a chiamare a raccolta sotto quella parola sgorgata, è ormai un secolo, dalla penna di un fante che la scarabocchiò su un foglietto a Mariano: Fratelli (o anche Bratje, Fradis, Brüder, Brothers).

 

Didascalia:

Marin, Ungaretti e il sindaco Martina