Uno scrittore americano a Roma

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William Tanner Vollmann ha presentato il suo L’atlante, tradotto quest’anno nella nostra lingua

di Giulia Gorrella

 

L’autore statunitense William Tanner Vollmann è stato in Italia lo scorso luglio in occasione di “Letterature Festival Internazionale di Roma”. Durante l’evento – tenutosi l’11 luglio  presso lo Stadio Palatino – Vollmann ha presentato al pubblico italiano il suo L’atlante.

L’atlante (The Atlas) non è uno dei suoi libri più recenti (fu pubblicato da Viking, New York nel 1996), ma è stato tradotto solo quest’anno in italiano da Cristiana Mennella per Minimum Fax. Vedere in questo evento culturale la semplice presentazione di un libro (o di una traduzione) sarebbe tuttavia riduttivo. Lo scrittore ha infatti intrattenuto il pubblico con la lettura di un brano inedito: Memories of the world (Ricordi del mondo) e non si è limitato a una conferenza frontale, ingessata da fogli di appunti su cosa dire. Vollmann è andato “a braccio” e così facendo ha messo subito a proprio agio il pubblico, creando un’atmosfera informale e colloquiale. Non sono molti gli scrittori che accettano di lasciar trasparire la spontaneità, la loro umana vulnerabilità al di fuori della pagina. Coloro che si rivelano come esseri non geniali, non unici e talvolta banali e che accettano il loro ruolo come reporter non di verità ma di sentimenti, pensieri, fatti e conoscenze, corrono il rischio di apparire come voi, come noi. Come noi che sentiamo il bisogno di aggrapparci a una parola o a una frase che rispecchia proprio quello stato d’animo che non riuscivamo a definire da soli, almeno non del tutto, e che nel momento della lettura sembra levarci il peso del mondo dalle spalle. Quella parola bella e adagiata sulla carta bianca e liscia, ci appare come rivelazione assoluta, come la salvezza che non può che derivare da un’intelligenza diversa e fuori dal comune.

Il bisogno di affidarci a un singolare genio della letteratura, o dell’arte, è strettamente connesso al bisogno di credere in qualche realtà dopo la morte: abbiamo bisogno di risposte e di non sentirci gli unici nel cercarle. Perciò ci piace affidarci a chi sembra poter trovare quelle risposte prima di noi e per noi, che sia l’autore di un testo (una persona creativa) o un religioso (che si affida a un creatore) e non a caso le religioni hanno come mezzo prediletto una sacra scrittura, un libro che racchiude le verità (si spera) e gli insegnamenti. Vollmann, ben lontano da cadere nell’errore di immedesimarsi in un sapiente creatore, accetta di non conoscere e di non avere le risposte. Questo si intravede già dai suoi romanzi: storie di vagabondi inquieti che girano il mondo senza sosta e che accettano di perdere ogni certezza o sicurezza che la società civile e la vita sedentaria possono dar loro, in cambio di un assaggio della tanto sognata, quanto disprezzata libertà. Altrettanto si evince dal modo in cui ha tenuto la conferenza, come si diceva poco sopra: la spontaneità del suo discorso, oltre al fatto che chiedeva in continuazione al pubblico di comunicare cosa lo interessasse e cosa lo incuriosisse; è sintomo di accettazione delle sfide e degli scambi intellettuali che possono avvenire, oltre al superamento della tanto temuta demistificazione dell’autore.

Per tornare al testo presentato, L’atlante, che per stessa ammissione dell’autore è ispirato a Storie sul palmo della mano di Kawabata, presenta una struttura a palindromo. Ogni racconto presente nella raccolta è pertanto connesso a un altro e più precisamente: il primo è collegato all’ultimo, il secondo al penultimo, mentre il racconto al centro della raccolta presenta elementi di tutti gli altri racconti. Sebbene le ambientazioni siano geograficamente distanti tra loro (già dal titolo si può presagire facilmente che i racconti sono tratti da esperienze che si sono susseguite durante i viaggi rocamboleschi dell’autore) hanno in comune un tema ricorrente nell’opera di Vollmann: la volontà antropologica di indagare in profondità il disagio che si trova in ogni persona, che diventa quasi una rappresentanza della propria categoria. Prostitute, ragazze-madri, tossicodipendenti, alcolisti, nomadi, apolidi, senza tetto, orfani e patrioti reduci di guerra che alla fine di un conflitto si svegliano rendendosi conto di aver combattuto cause che non rientravano nei loro sogni e aver ucciso persone che non rientravano nei loro incubi.

Vollmann tuttavia non eleva queste persone a rappresentanti di una categoria da idealizzare. Non si lascia travolgere dal gusto per la vita da bohèmien per scattarne poi una foto da cartolina. Il suo atlante non è per turisti o aspiranti viaggiatori: è per chi davvero abita un luogo, suo malgrado. Per chi è schifato e sa di esserlo e non gli interessa più nemmeno venir capito da chi nutre per lui curiosità e vorrebbe aiutarlo; perché dopo anni di vita da clochard (esperienza vissuta dallo stesso scrittore) si arrende. Ma la resa verso la società più sviluppata che circonda ad anni luce di distanza i clochard dei suoi libri, non è sinonimo di inumanità. Al contrario, nei racconti di Vollmann traspare sempre una lode verso il cameratismo di chi non ha nulla.

L’atlante di Vollnmann non è disegnato per scoprire luoghi, ma esseri umani. Non persone, nel senso originario del termine, e tanto meno personaggi. Colti nelle banalità delle loro vite che sfuggono a ogni classificazione letteraria, gli individui si auto-narrano, come in delle interviste in cui l’autore si eclissa per dar eco alle voci che solitamente non si vuole ascoltare; intente a svelare dettagli che non si vuol vedere. Se l’opera intera di Vollmann si volesse infatti riassumere con una frase, sceglierei la battuta di una madre diretta al suo bambino. L’ordine materno, la forma dell’anti-insegnamento per eccellenza, costituisce in realtà un invito alla disobbedienza.

«Ora sai cosa capita quando cerchi di vedere le cose. Cosa c’è lì?».

«Non so, Mamma. Niente».

«Giusto. Giusto. Non provare mai a vedere le cose».

(Dal racconto Sacramento, California, USA, 1992).

 

William Tanner Vollmann

L’atlante

traduzione di

Cristiana Mennella

Minimum Fax, 2023

  1. 532, euro 20,00