Uno stile di pensiero unico e alternativo

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Pubblicati sei saggi di Pericle Camuffo su Biagio Marin

di Gianni Cimador

 

Zogia del gno pensâ. Scritti su Biagio Marin raccoglie otto studi di Pericle Camuffo pubblicati tra 2000 e 2014 e dedicati al ‘pensiero’ del poeta gradese, un aspetto per molto tempo trascurato rispetto alla produzione poetica, sul quale l’attenzione della critica si è concentrata a partire dagli anni Ottanta, dopo pubblicazioni come Un dialogo e Parola e poesia, curate da Elvio Guagnini.

Camuffo, seguendo diverse piste in articoli, saggi e diari, ha voluto valorizzare un materiale considerato secondario e analizzare così il Marin più intimo, darci una visione globale del personaggio, che non riguardi solo il poeta ma anche l’uomo e che contribuisca a superare formule e luoghi comuni sull’autore ormai abusati e sterili, limitativi rispetto alla complessità, spesso contraddittoria, di una personalità di frontiera, impegnata in ambiti diversi e lontana da ogni rigido schematismo.

La definizione del profilo spirituale di Marin e delle letture filosofiche è decisiva per comprendere meglio anche il suo impegno pedagogico e civile e ci porta a esplorare una molteplicità di intrecci e riferimenti culturali che collocano lo scrittore in una posizione tutt’altro che marginale, finalmente restituitaci nella sua ricchezza e peculiarità.

L’idea di una filosofia ‘attiva’, intesa come saggezza piuttosto che sapienza, è collegata al ruolo centrale che per Marin ha la singola personalità (“Non sono un filosofo, il sistema sono io”): in questo senso possiamo interpretare anche l’esigenza di una religiosità non dogmatica, concepita come creatività, e di una filosofia che sia prima di tutto formazione e che fornisca gli strumenti per intervenire su se stessi e sul mondo.

Anche la poesia ha senso in funzione di un miglioramento dell’esistenza del singolo e della collettività: il pensiero di Marin rivela ancora un legame forte con il Romanticismo, per la sua tensione a definire un modello di conoscenza alternativo rispetto alla parcellizzazione del sapere e delle coscienze prodotta dalla modernità.

La necessità di un rapporto nuovo tra docente e discente avvicina Marin alla pedagogia neoidealista di Gentile, ai suoi tre concetti di spiritualità, creatività, libertà: prendendo spunto dalla corrispondenza tra i due intellettuali, Camuffo approfondisce la posizione nei confronti del filosofo, fatta di slanci entusiastici ma anche di differenze irrisolvibili, dovute soprattutto alla deriva materialistica e individualistica del Fascismo che finisce per tradire i presupposti di una metafisica attualistica, di una visione che afferma l’unità di Essere e Conoscere nella processualità eterna dello Spirito ed esalta la libertà della creazione.

L’idealismo ‘militante’ di Marin, che si esprime in uno spirito più fattivo e pratico, in un Io in continuo divenire, è anche l’espressione del suo ‘vocianesimo’, della necessità di intervenire nella realtà per produrre una rivoluzione spirituale: è un’impronta che sarà sempre decisiva nella vita del poeta, legata strettamente al “grande salto” degli anni fiorentini e alla mediazione di Prezzolini, punto di riferimento con la sua idea di intellettuale militante, “svegliatore” ed “educatore” delle coscienze. Nello stesso tempo, è fondamentale la riflessione su Nietzsche che sicuramente ha avuto una grande influenza nell’ambiente vociano, ispirando la poetica del frammentismo con la sua scrittura aforistica.

L’esperienza di insegnamento a Gorizia, per quanto breve, è l’occasione per fare i conti con la propria coscienza ed esprimere il bisogno di azione che Marin sente dentro di sé.

Tra gli “amici goriziani” di Marin c’è il commissario scolastico Emilio Mulitsch, il primo studioso del dialetto gradese, anch’esso di formazione mazziniana e poi socialista, fino all’ingresso nel PCI nel 1921: Camuffo, facendo riferimento alla corrispondenza epistolare, chiarisce i dettagli di un’amicizia tra due intellettuali non sempre vicini politicamente ma impegnati con la stessa tenacia nella riforma del sistema scolastico, anche se l’affermazione del Fascismo segna la fine di una grande stagione di fermento progettuale, soprattutto in un’area di frontiera come quella isontina.

Nel confronto con Mulitsch riemerge il mazzinianesimo di Marin ma anche l’influenza del socialismo di Salvemini, ancora tutta da approfondire: si tratta di due componenti intrinsecamente legate e dialoganti, che sempre continueranno a stimolare uno stile di pensiero spesso aporetico e contraddittorio, che genera, come sottolinea Camuffo, un “processo di riscrittura continua di se stessi”, dal quale “è possibile approdare a una condizione di libertà che va riconquistata sempre e di nuovo, pena la ricaduta all’interno di una schematizzazione del reale e di se stessi che non consente nessuna vera attività critica e creativa”.

In quest’ottica, anche i tre quaderni conservati presso il Centro di Ricerca sulla Tradizione Manoscritta dell’Università di Pavia, scritti tra l’agosto del 1942 e il gennaio del 1944, diventano un laboratorio di pensiero, che indica lo spessore culturale di Marin e delle sue letture: sono soprattutto una testimonianza del rapporto, pieno di contraddizioni irrisolte, con il Fascismo che ha segnalato, ancora una volta, l’incapacità degli italiani di aderire ai valori liberali e i limiti di una mentalità piccolo-borghese che si è espressa nella corruzione del mussolinismo, cosa ben diversa dalla dottrina del Fascismo.

Come negli altri diari, l’antitalianità di Marin passa sempre attraverso il filtro del mazzinianesimo e ha, tra i suoi principali obiettivi polemici, la Chiesa Cattolica.

A una spiritualità storica e dogmatica Marin contrappone una spiritualità dinamica e antimetafisica, nella quale vi è uno stretto rapporto tra vita e filosofia: in questo senso, è ricco di stimoli l’incontro con le filosofie orientali, nel periodo fiorentino e attraverso le traduzioni in area mitteleuropea o il circolo di Nino Paternolli.

L’idea del dinamismo, del mutamento, e quindi di una realtà sempre mutevole e in divenire, che è libera e imprevedibile creazione, rimanda al pensiero indiano e al Buddhismo, come anche al Taoismo, con la sua eternità aperta e indistinta, mentre quella di un Dio che partecipa alla natura e interviene in essa deriva dalla Gita, dalla suggestione di uno Spirito che “è fuori e dentro agli esseri”: il discorso religioso diventa così più spontaneo e libero e si traduce in una poesia del trascorrere.

Camuffo, considerando anche i libri della biblioteca privata di Marin, esamina le diverse componenti di un mondo spirituale complesso, di una sintesi originale tra pensiero occidentale e orientale, che rielabora suggestioni romantiche, della filosofia idealistica e di Bergson, e nella quale hanno avuto un ruolo importante la lettura della Bhagavad-Gita, condivisa con l’amico Piero Filla, e quelle di Tagore, Lao Tze, amati dal poeta per la profonda unità di vita e pensiero, individuale e universale, presente nella loro opera: le accomuna l’idea di Uno-Tutto, attraverso la quale Marin interpreta il mondo e rispetto alla quale ogni realtà risulta un fenomeno illusorio.

Vengono tracciate le coordinate di una ricerca spirituale che percorre instancabilmente anche i diari e che vuole superare la “maledetta trascendenza platonica”, verso una trascendenza immanente in cui, oltre alle filosofie orientali e alla concezione eckhartiana dell’anima come espressione immanente della divinità creatrice, possiamo riconoscere, tra l’altro, una riformulazione del monismo eracliteo: si configura così, anche nel rapporto problematico e critico con il cristianesimo storico, la riflessione sul nuovo universalismo del futuro, che metterà in discussione le singole tradizioni di pensiero.

La capacità di Marin di superare schemi codificati e opposizioni sterili si ritrova nel carteggio con Gino Brazzoduro, nel quale, come sottolinea Camuffo, “Ognuno cerca di spiegare all’altro la propria posizione, di motivarla e sostanziarla in un gioco a rimbalzo che contribuisce alla maggiore comprensione di sé: un percorso di interrogazione che, attraverso l’altro, ritorna, per agire all’interno di se stessi”: proprio il confronto tra due posizioni inconciliabili, in cui entrambi gli interlocutori rimangono chiusi nei loro ‘confini’, stimola uno sforzo di chiarezza che produce un reciproco arricchimento. Se Brazzoduro sostiene i valori di un umanitarismo socialista ispirato dal principio di uguaglianza, Marin ribadisce la necessità di un principio gerarchico e resta fedele a un nazionalismo inteso in senso culturale, non etnico: è significativa la modalità di questo incontro, emblematica di uno stile di pensiero fondato sulla ricerca condivisa, negoziale, della verità, senza arroccamenti ideologici, e rivolto a una comunicazione che supera le differenze. Fino agli ultimi anni, Marin sente il bisogno di mettersi in discussione e di verificare la consistenza dei suoi ideali.

Attraverso i saggi di Camuffo, riscopriamo un intellettuale che ha saputo esprimere e riformulare sempre con coerenza e passione le sue idee, confrontandosi con esperienze anche molto distanti dalla propria, mettendo in evidenza contraddizioni e limiti, e rilanciando sempre l’esigenza di una ‘militanza’ che non è chiusura autoreferenziale, ma dialogo continuo e instancabile con la realtà e i suoi cambiamenti, con la consapevolezza che, proprio perché tutto è in continuo divenire, l’approccio necessario deve essere creativo e rimanere sempre aperto a strade diverse e ricche di nuove potenzialità, anche facendo tesoro dei momenti di rottura e di crisi.

 

 

 

Copertina:

 

Pericle Camuffo

Zogia del gno pensâ

Scritti su Biagio Marin

PM Edizioni, Varazze (SV) 2018

  1. 196, euro 18,00