Un’ora con Emilio Isgrò

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A proposito di Dante e di alcuni esperimenti siciliani

di Alberto Brambilla

 

Sono questi i giorni dell’invasione dell’Ucraina da parte degli eserciti di Mosca, e l’Europa sembra sul punto di una terza guerra mondiale. I paesi baltici sono in allarme, così come la Romania e la Polonia che stanno con generosità accogliendo i profughi ucraini che stanno giungendo anche nel nostro paese. Un tema così scottante, e per molti versi angosciante, non può sfuggire alla nostra conversazione ed è infatti la prima domanda che rivolgo ad Isgrò. Lui guarda con i suoi occhi chiari ed espressivi, velati di profonda tristezza e poi allarga le braccia come a dire che non ci sono parole sufficienti ad esprimere quello che sta accadendo. Poi trova la forza di dire qualche frase:

«No, non è giusto, la Russia, il popolo russo non vuole questa guerra, non può accadere nella patria di Dostoevskij e soprattutto di Tolstoj, un testimone di pace. Io amo la letteratura, in fondo sono nato come letterato, come poeta e tale ancora mi considero. Per fortuna ho avuto un riconoscimento pubblico come artista, altrimenti non me l’avrebbero perdonato, come è successo a tanti compagni di viaggio».

Non posso che acconsentire, aggiungendo a quanto si diceva che forse anche la Nato ha esagerato in questi anni accrescendo la sindrome da accerchiamento che è tipica di Putin e della sua cerchia. Dopo la caduta del comunismo molti speravano che la Nato non avrebbe più avuto senso e invece oggi ci aggrappiamo ad essa per fronteggiare un’aggressione crudele e ingiustificabile.

Ancora guarda senza dire nulla, Isgrò, e il suo silenzio vale molte parole. Ha in un certo senso applicato quella che è in fondo la filosofia del suo lavoro, che appunto si potrebbe definire una parola silenziosa o, se vogliamo, un silenzio eloquente. Ovviamente esso è rivolto soprattutto al senso della vista, perché la cancellatura copre e ri-vela, fa scaturire nuovi sensi nel momento stesso in cui sembrerebbe annullarli. Avrei voluto rivolgergli molte domande sul suo lavoro, ma non è facile. Così scado in un banale «qual è il ruolo degli artisti in questi frangenti?». La pazienza di Isgrò sopporta la mediocrità della domanda.

«Nel mio lavoro ho sempre tenuto una posizione ferma di impegno politico, di difesa dei principi della nostra Costituzione e dei più alti valori dell’umanità… l’artista non può che stare dalla parte dei più deboli e dei più indifesi. Quando dico impegno politico non intendo come sai riferirmi a delle ideologie, a dei partiti. Sono un uomo di sinistra, certo, ma in senso più ampio, progressista ma al servizio della verità…».

Vero è che ultimamente il tuo impegno  mi sembra si sia fatto più incisivo e continuo.

«È solo perché ne parlano i giornali, la televisione… io ho sempre agito nella medesima direzione».

Sì, mi piace definire quella di Isgrò partecipazione civile, come un impegno appunto pubblico, applicato a spazi di visibilità e di condivisione. Si pensi alle gigantesche sculture collocate in spazi pubblici, al grande pannello collocato nell’ottobre dello scorso anno nella Stazione FS della Metropolitana di Brescia in occasione del restauro della Vittoria alata; o all’operazione recente di Palermo, all’Oratorio di San Lorenzo, dove Isgrò ha lavorato sulla Natività di Caravaggio, un autore che ha mutato il corso della pittura. Mi è sembrata questa un’operazione intelligente e a suo modo ironica. Isgrò ha cancellato la riproduzione di un quadro rubato nel 1969 e da poco ricollocato in copia. Mi piace quest’oscillazione tra il vero e la sua copia; che, appunto perché cancellata, esprime in qualche modo un desiderio struggente di bellezza di fronte a quell’assenza-presenza. E poi, per restare in Sicilia, ho ammirato i tuoi recenti lavori esposti nei saloni di Villa Zito a Palermo…

«Sì, il mio è stato un omaggio alla mia terra d’origine, alla Sicilia, per me simbolo di specificità all’interno di un’unità più grande, mediterranea, a cui essa partecipa da secoli, da millenni. È la Sicilia cartaginese, greca, araba, normanna, spagnola…».

Ed anche italiana… «Certamente è una regione che ha dato molto all’ Italia e, a ben vedere, all’Europa, basti pensare a Pirandello».

«Sì, ho osservato con attenzione le cancellature sulla carta geografica dell’isola; hai volontariamente lasciato alcuni nomi ‘scoperti’, i quali – non è solo un gioco di parole – proprio per ciò invitano l’osservatore a un lavoro geografico ed etimologico di ri-scoperta di una nomenclatura che aveva perduto la sua pregnanza storica e rischiava di scadere a flatus vocis.

«Forse è così,  ma io preferisco fornire gli strumenti, poi ogni osservatore partecipa a suo modo ed esegue lo spartito come meglio crede».

Poi ci sono i tuoi lavori sulla Divina Commedia e sul De vulgari eloquentia  che per ragioni professionali molto mi intrigano.

«In occasione dei settecento anni della morte dell’Alighieri anch’io ho voluto celebrare la sua grandezza. A modo mio, s’intende, secondo la mia poetica».

Incuriosisce soprattutto l’ interesse per il De vulgari eloquentia, un’opera non proprio nota…

«Sì, è poco conosciuta, ma ingiustamente, perché è uno dei fondamenti della nostra cultura, della nostra lingua». Ritorna qui la vocazione di  poeta, troppo spesso ci dimentichiamo che è quella l’origine di Isgrò. «Se la Divina Commedia si può considerare a pieno titolo la prima grande opera inclusiva della letteratura italiana, una specie di summa medievale, il De vulgari è la prima riflessione teorica sulla lingua e sul suo uso. E questo è un tema a me particolarmente caro».

Sì, c’è una lunga fedeltà a questi temi, penso ai lavori sui Promessi Sposi, un altro testo fondativo, o alle riflessioni sulla lingua di Pasolini.

«Entrambi hanno lavorato sul linguaggio, su più lingue, alla ricerca comunque di un mezzo espressivo comprensibile e adatto anche agli umili».

Un po’ diverso è il discorso per il De vulgari eloquentia, no? È scritto in latino, nella lingua dei dotti..,

«Quest’opera dantesca riconosce all’interno di una pluralità il primato della cosiddetta Scuola siciliana e ci dimostra che la nostra storia della poesia avrebbe potuto essere diversa…».

Certo è che molti di quei testi ci sono giunti attraverso le trascrizioni di copisti dell’Italia centrale creando così una tradizione. Poi sono venute le tre corone, Dante, Petrarca, Boccaccio…

«Sì, ma a me ora preme ricordare e sottolineare con questo specifico intervento dantesco un altro aspetto, ossia che l’unità italiana è un’unità comunque culturale, siamo un paese fondato sulla cultura e non dobbiamo dimenticarlo».

 

 

 

Emilio Isgrò

Artista concettuale e pittore – ma anche poeta, scrittore, drammaturgo e regista – Emilio Isgrò (Barcellona di Sicilia, 1937) è uno dei nomi dell’arte italiana più conosciuti a livello internazionale tra XX e XXI secolo.

A partire dagli anni Sessanta, Isgrò ha dato vita a un’opera tra le più rivoluzionarie e originali, che gli ha valso diverse partecipazioni alla Biennale di Venezia (1972, 1978, 1986, 1993) e il primo premio alla Biennale di San Paolo (1977).

Emilio Isgrò dal 1956 a oggi vive e lavora a Milano, salvo una parentesi a Venezia (1960-1967) come responsabile delle pagine culturali del Gazzettino.

 

 

Emilio Isgrò