Uscirne, ma verso dove?

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Per anni, almeno successivamente all’implosione del sistema sovietico del 1989, ci è stata narrata una vulgata secondo la quale non esisterebbero più né destra né sinistra. Vi sono molti elementi che inducono a ritenere erronea questa credenza, peraltro alimentata da molti politici e da altrettanti commentatori, ma un elemento di chiarezza potrebbe essere offerto, ancora di questi tempi, da una riflessione di Norberto Bobbio che, ancora nel 1994 (Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma 2004, prima ed. 1994) aveva individuato nell’atteggiamento rispetto alle diseguaglianze il discrimine tra le due polarità verso cui si orienta l’uno o l’altro agire politico. Secondo il filosofo torinese, mentre la sinistra si batte contro ogni forma di diseguaglianza, la destra al contrario ritiene «che le diseguaglianze tra gli uomini non solo non siano eliminabili o siano eliminabili soltanto soffocando la libertà, ma siano anche utili, in quanto promuovono la incessante lotta per il miglioramento della società».

In una pluralità di occasioni, in questo spazio che dedichiamo di norma alla riflessione politica, abbiamo denunciato nella divaricazione della forbice dei redditi, dell’arresto dell’ascensore sociale, della compressione dei diritti della persona e in particolare dei lavoratori i principali elementi di criticità – oltre che di intollerabile ingiustizia – del sistema nel quale viviamo. Le fasi del dibattito politico e del confronto sociale che stiamo attraversando proprio in queste settimane, quando si inizia a intravvedere la luce in fondo al tunnel della pandemia, ruotano attorno ad alcune questioni che rivelano sussistere pensieri assai differenziati in merito alle modalità di uscita dall’emergenza economica che si è pesantemente aggravata in concomitanza col manifestarsi di quella sanitaria.

Gli scontri che quotidianamente si susseguono nel dibattito politico, in Parlamento e nelle dichiarazioni alla stampa di esponenti politici, istituzionali, sindacali e confindustriali la dicono lunga circa le contrapposizioni esistenti tra chi si è dato l’obiettivo di ridurre le diseguaglianze e chi, al contrario, non annette alcuna priorità alla ricerca di formule meno sperequative nei provvedimenti di cui si discute. è storia di questi giorni lo scontro asperrimo tra Confindustria e sindacati sul rinnovo del blocco dei licenziamenti, aborrito dalle imprese che pure hanno percepito il 74 % delle risorse stanziate nell’ultimo anno, ma che non intendono rinunciare nemmeno in via temporanea al loro diritto di mandare a casa i lavoratori che ritengono in esubero.

C’è stata poi la proposta, subito contestata, di reintrodurre un’imposta di successione per i capitali superiori ai cinque milioni di euro, allo scopo di ridistribuire ai giovani il denaro così acquisito. Già, perché è evidente che le forze politiche che hanno come obiettivo un’aliquota unica uguale per tutti, a totale giovamento dei contribuenti più ricchi, siano contrarie all’idea di intervenire con una leva fiscale sui grandi capitali con un prelievo che colpirebbe non già chi lo ha accumulato, ma chi si limita ad ereditarlo.

Ancora: abbiamo i liberisti scatenati a rivendicare le cosiddette “semplificazioni”, che consisterebbero in definitiva in un sostanziale superamento del codice appalti, tendente a non porre limiti ai subappalti, meccanismi di autorizzazione più sbrigativi e tempi ridotti per la regola del silenzio assenso. Quasi che fossero inesistenti problemi quali la corruzione diffusa, le organizzazioni mafiose, la sicurezza sul lavoro.

è chiaro allora che una volta usciti dal tunnel non procederemo affatto su un rettilineo, ma ci troveremo, come sempre, a dover scegliere tra continue biforcazioni del percorso, che conducono a due modelli di società radicalmente diversi. Potremmo allora indicare con nomi di fantasia i due divergenti percorsi, ma in definitiva si tratterà sempre di scegliere una strada. Quella di destra o quella di sinistra.