Usellini, o dello stupore

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A 50 anni dalla scomparsa del pittore il Catalogo Generale delle opere

di Roberto Curci

 

Un’immensa biblioteca popolata da bizzarri capannelli e dominata da un gigantesco cavallo di Troia. Un paracadutista che scende nel bel mezzo del cortile d’un convento, mettendo in fuga uno sciame di suorine. Una casa di ringhiera sui cui ballatoi si accalcano gli abitanti in maschera. La stessa casa con i ballatoi deserti e fitte cascate di serpentine carnevalesche. Un raduno di Pulcinelli dai candidi cappelli a cono, in sintonia con le bianche vele che sfilano sul mare, alle loro spalle.

Magico, onirico, metafisico. Eppure classico, nel suo riferirsi a un quattrocentesco universo pittorico “minore”, non dunque quello di Leonardo, Raffaello, Michelangelo, bensì quello di Paolo Uccello, del Beato Angelico, del Carpaccio. Con un occhio ai Primitivi, al Doganiere Rousseau, al mondo naif degli ex voto. È questo il mondo, librato tra realtà e sogno, tra descrittivismo e finzione, di un pittore novecentesco che meriterebbe di essere più conosciuto e ammirato di quanto sia, nonostante i larghi riconoscimenti della critica ottenuti in vita.

Parliamo di Gianfilippo Usellini, e lo facciamo per due buone ragioni: il cinquantenario della morte e l’uscita da Allemandi del monumentale Catalogo Generale delle opere (528 pagine, mille illustrazioni, 150 Euro; a cura di Luigi Sansone e Fanny Usellini). Nato a Milano nel 1903, Usellini è stato fra i protagonisti di un “ritorno alla classicità” venato di stupore metafisico e di sentimento fiabesco. Vicino negli anni Venti alla corrente di Novecento, senza mai davvero farne parte, ha evocato nelle sue opere (spesso a tempera grassa su tavola, per un consapevole rimando al Rinascimento) un dimensione in cui «fantasia intuitiva e quotidianità si intrecciano» in «un classicismo stupefatto, pervaso di sogni e di meraviglia», come fu scritto in occasione di una sua vasta monografica a Sondrio nell’ormai lontano 1994 (a cura di Elena Pontiggia, catalogo di Leonardo Arte).

Nell’agosto del 1971 Usellini venne a mancare ad Arona, nella casa che la sua famiglia possedeva da generazioni e che egli ritrasse ripetutamente, e a buona ragione, dato che – come scrisse – «la mia pittura nasce dalla mia infanzia e più precisamente dalla mia casa di Arona, una vecchia casa del Settecento. Tutto quello che vive nella mia memoria e che ho di più caro è il mondo incantato della mia infanzia». Gli si sarebbe ben attagliato, su un altro versante di creatività artistica, il motto ispiratore dell’opera letteraria di Bruno Schulz: «Maturare verso l’infanzia».

Spesso popolato di pretini e suorine spaventati, di diavoletti e diavoloni tentatori, e perfino di un satanasso e un angelo duellanti,  il mondo di Usellini cela, dietro l’apparente ingenuità e il finto candore, la consapevolezza di una battaglia perenne del Bene contro il Male, frutto indubbio di una formazione cattolica che è alla radice delle sue tarde opere devozionali dedicate in specie  alla Madonna e al tema della Deposizione, originalmente rivissuto.

Tuttavia, negli anni devoluti ai temi sacri (anche con le antiche e predilette tecniche dell’affresco e dell’encausto), e precisamente nel 1948, Usellini fu gratificato da una grande mostra allestita alla Julien Levy Gallery di New York. Vi andò e vi tornò per mare, a bordo della “Vulcania”, e per lui fu un’esperienza magica quasi quanto i suoi quadri, tanto che negli Usa rimase per quattro mesi, coast to coast (a Los Angeles Alida Valli acquistò un suo quadro). «Ho imparato più qui – scrisse – che in 45 anni di vita. Ho avuto un’infinità di emozioni». Ed emozionante fu anche la vernice newyorkese, poiché tra la folla accorsa c’erano Duchamp, Dalì e Gorky, Cagli, Prezzolini e due familiari di Toscanini, da lui incontrato qualche giorno prima al Rockefeller Center («ha 81 anni ma dirige come un uomo di trenta»).

Usellini ne fu stupito. E forse è proprio lo stupore la cifra identificativa della sua opera: stupore insito e stupore indotto nell’osservatore. Che, se vi si affezionerà, non potrà non continuare a rimirare i personaggini (sempre minuscoli) evocati da Usellini nei suoi quadri emblematici: La casa degli amorini (ognuno occhieggiante da una finestrella ovale), Ricordo della Prima Comunione (con i frati a loro volta occhieggianti dalle finestre del primo piano), Il gelataio (con la fila delle educande reduci da un peccato di gola), Il carnevale dei poveri e Fine del carnevale dei poveri (di cui si è detto).

L’ultima sua opera, datata proprio 1971, poco prima della morte, s’intitola La paura della paura e mostra delle fanciulline in fuga, terrorizzate dall’apparizione di un improbabile coniglio gigante: «Uno spavento di bambine che non sanno che l’oggetto del loro terrore è un coniglio metafisico, il quale ha più paura di loro… L’ultimo atto della vasta commedia umana che Usellini per tutta la vita aveva dipinto» (Pontiggia).

 

 

 

Luigi Sansone e

Fanny Usellini

(a cura di)

Usellini. Catalogo

generale delle opere

con 1000 illustrazioni

Alemanni, Torino 2020

  1. 528, euro 150,00