Viva la piazza col Pomodoro?

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A Trieste è il gran momento della scultura: potrebbe essere la volta buona per Pinocchio

di Roberto Curci

 

Milano, Torino, Genova, Pesaro, Belluno, Sorrento. E poi Roma (Città del Vaticano), Copenaghen, Dublino, Brisbane, Los Angeles. In ognuna di queste città (e in parecchie altre, ancora) è possibile ammirare la bronzea Sfera con sfera di Arnaldo Pomodoro: copie su copie di un’icona della scultura italiana del Novecento, diffusasi su scala planetaria.

Forse anche Trieste se ne aggiudicherà un campione. Non che c’azzecchi granché, ma in città, com’è noto, è un gran momento per la scultura: e quanto più è incongrua, tanto meglio è. Un tallero semiaffondato in piazza Ponterosso, un D’Annunzio panchinaro, forse là dove un tempo si ergeva, su un alto piedestallo, la rugginosa spirale di ferro di Toni Benetton, silenziosamente detestata ma sopportata per anni dai triestini.

L’importante è che siano sculture “nuove”, mica quelle d’epoca (e sarebbero tante), esistenti ma mai neppure schedate e studiate come forse meriterebbero. Un solo esempio: le suggestive statue, lassù in alto, del Palazzo Chiozza delle Generali, che fan parte del panorama senza che nessuno le degni di un’occhiata, tanto meno – irraggiungibili come sono – ci si ponga il problema di chi le fece e di che cosa rappresentino (l’autore, almeno questo lo si può dire, si chiamava Luigi Supino detto Gigi o Gino, genovese, 1893-1980).

Per non parlare della povera Sissi. Recuperata dopo lunghissimo sonno, con quel suo doppio corteggio marmoreo di squisita fattura Jugendstil, andrà in castigo – ma qualcuno dirà: valorizzata – in un canto del nuovissimo piazzalone derivante dalla demolizione della Sala Tripcovich, già Stazione delle autocorriere (questa sì firmata: Umberto Nordio, 1935), demolizione fortemente voluta dal Sindaco fin dal suo primo insediamento – un chiodo fisso, chissà perché – e finalmente conquistata.

Novità, novità, al bando le anticaglie e i passatisti! E quanto più discusse e discutibili sono, tanto più il Potere, forte di se stesso, “tira dritto”: slogan tornato di palpitante attualità dopo la damnatio cui l’inflessione mussoliniana pareva averlo condannato (per il “me ne frego” ci si sta ancora attrezzando).

Si ha davvero l’impressione che tutto ciò che suscita quanto meno legittima perplessità, anche tra la “ggente” e non solo tra i professoroni – fedeli, ahiloro, ai bei tempi andati – rappresenti per chi sta ai comandi il carburante e l’incentivo a sfidare non solo il buon gusto ma pure il buon senso. Sicché si insiste nel “tirare dritto” con progetti inconsulti e, soprattutto, né urgenti né cogenti. Il tallero della discordia, appunto; o il Vate calato dall’alto su una centralissima panchina. Ma pure – e ben di più – i ribaltoni programmati per la maxi-area includente piazza Libertà e Largo Santos, che sulla carta e dalle immagini digitali (i cosiddetti “rendering”) sembra voler festeggiare, con spazi vasti e nudi come il Mare della Tranquillità, l’anniversario tondo della “conquista” della Luna.

I timori e i dubbi di tanti (oseremmo dire: dei più) ragionevolmente si collegano agli scempi già compiuti e mai digeriti in piazza Vittorio Veneto, in piazza Goldoni, in piazza Perugino. Su queste malefatte si sono sprecate le ironie, ma – si sa – più passa il tempo, più l’occhio fa l’abitudine al Brutto, oppure glissa e scappa via.

Ma allora, tornando alla serie “tiradritto”, ci si chiede – dopo anni di proposte e controproposte: pura fuffa – che senso, che utilità, che urgenza abbia la cancellazione di quell’onesto giardinetto, con fontana centrale e ampia fioritura di alberi e piante cresciute rigogliose negli anni, che sta fra il Canal Grande e la chiesa di Sant’Antonio Nuovo. Ci sono, a Trieste, decine e decine di irrisolti problemi, grandi e piccoli, drammatici e sciocchi, spesso bisognosi soltanto di una spintarella di buona volontà per essere almeno emendati. Ci si ostina, invece, nascondendosi (come per il tallero, come per il Vate) dietro il mignolo dei presunti sondaggi d’opinione svolti fra la “ggente”, a portare avanti un progetto di “ri-arredo urbano” di cui nessuno, ma nessuno davvero, avverte la necessità o l’impellenza.

Anzi, di progetti se ne illustrano quattro sugli undici complessivamente elaborati dall’architetto (tra parentesi: scritturato senza gara, il che già suona male). E, fra questi, è appunto esortata la “ggente” a optare con un clic per il prediletto: come se i giochi non fossero già fatti tra quanti hanno deciso, una volta di più, di “tirare dritto”. Unico elemento comune fra i quattro studi la presenza inquietante e – ripetiamo – incongrua della “Sfera con sfera”, destinata a inquinare una prospettiva che ha nella facciata di Sant’Antonio e nel fianco della chiesa serbo-ortodossa di San Spiridione i suoi nobili e già radicati punti fermi. (Ma “non è questa l’opera prescelta”, precisa l’architetto. è soltanto “un’ipotesi”).

Comunque scultura ha da essere. E dunque scultura sia, ancorché del tutto decontestualizzata e nonostante il perseverare sia notoriamente diabolicum. Ma allora, vien da chiedersi, perché non trasferire da quel semideserto campo-giochi di Villa Revoltella la simpatica statua di Pinocchio che si specchia nell’acqua (Nino Spagnoli, 1955)? E collocarla magari in piazza dell’Unità, rivolta verso qualche palazzo del Potere?